HEROES: WALTER SMITH
Con Walter Smith, morto dopo lunga malattia la scorsa
settimana, se ne va un pezzo di storia del calcio scozzese, forse non solo
scozzese.
Guidò i Rangers al periodo di maggior successo della loro
storia. Per me allo stesso livello di Jock Stein e Alex Ferguson, gli altri
parecchi piani sotto.
Se ne va anche una di quelle rare figure di allenatore il
cui ricordo rimane legato all’ aver avuto successo alla guida del club che ne
rappresentava le convinzioni più profonde, dentro e fuori dal campo.
Walter Smith era nato in una famiglia operaia. Il padre era
un gruista e tifoso dei Rangers, la mamma era organista alla chiesa locale.
Protestanti, gente semplice, onesta; poche certezze ma solide. Fu il nonno a
portarlo ad Ibrox per la prima volta quando aveva cinque anni e a far sbocciare
una passione che si porterà fin nella tomba segnando per sempre la sua
esistenza.
Trascorse l’infanzia giocando a pallone dalla mattina alla
sera, dopo le scuole dell’obbligo si iscrisse al Coatbridge Technical College.
Continuò col calcio entrando nelle giovanili dell’Ashfield squadra di periferia.
Terminati gli studi iniziò a lavorare come apprendista elettricista presso
l’azienda elettrica della Scozia meridionale ma non mollò il calcio, la sua
vera grande passione. Nel 1966 finalmente ci riuscì e fu preso dal Dundee
United.
Difensore di modesta caratura, nelle prime quattro stagioni
mise insieme una manciata di presenze in prima squadra giocando regolarmente
con le riserve. Dal ’71 passò in pianta stabile in prima squadra, in tutto 134
presenze per gli arancioni, non molte in tredici stagioni. Ma sempre con una
passione ed un entusiasmo travolgenti. Indelebile, ed esemplificativo di cosa
rappresentasse il calcio per Walter Smith, l’esultanza dopo un gol segnato al
Dundee in un derby di campionato quando si baciò il piede con il quale aveva
calciato in porta.
Un infortunio lo costrinse al ritiro nel ’76 a neanche 29
anni. Poco male perché il manager, il geniale sergente di ferro Jim McLean, gli
stava dicendo già da un po che sarebbe stato un allenatore migliore di quanto
non fosse mai stato un giocatore.
Al fianco di Mc Lean vinse clamorosamente il campionato
scozzese 1982/83 e l’anno dopo furono fermati dalla Roma in semifinale di Coppa
dei Campioni nel controverso rovescio (0-3) del ritorno all’ Olimpico. Fu
quindi allenatore della Scozia U18, U21 e nel 1986 andò al mondiale in Messico
come secondo di Alex Ferguson.
Qualche mese prima, aprile mi pare, i Rangers, a corto di
vittorie da anni, avevano ingaggiato Graeme Souness come player-manager. Questi,
a digiuno di esperienza manageriale e di campionato scozzese scelse quale vice Walter
Smith che aveva conosciuto in nazionale e in virtù del suo ottimo lavoro al
Dundee United.
La gestione Souness rivoluzionò non solo i Rangers ma
l’intero calcio scozzese. Scardinò la politica del monte ingaggi ai calciatori
che resisteva da decenni e si mise a comprare giocatori dall’Inghilterra,
invertendo così un flusso che durava da sempre. Infine prese Mo Johnston, il
primo calciatore apertamente cattolico a giocare per i Rangers, facendo cadere
la regola non scritta che il club non assumeva cattolici (in qualsiasi
posizione, non solo calciatori) che risaliva agli anni ’20. Ci furono
rimostranze anche violente, forse di più sulla sponda opposta, ma Souness tirò
dritto dichiarando che quello che importava veramente era il bene della squadra
e che il settarianesimo con lui non avrebbe condizionato le scelte. Souness fu
inoltre d’aiuto a David Murray nell’acquisizione del club.
Walter Smith fu importantissimo in tutto il percorso. Per stessa
ammissione di Souness: “Sono stato fortunato ad essere circondato dalle persone
giuste in quel momento. Walter mi aiutò enormemente sia guidandomi tra le
questioni extra-campo che con la squadra.”
Nel ’91, dopo cinque stagioni e quattro titoli nazionali,
Souness lasciò i Rangers per Liverpool chiedendo a Smith di seguirlo. David
Murray, nel frattempo diventato proprietario del club, dopo attenta riflessione
e sentiti capitano e giocatori più influenti gli offrì il posto resosi vacante.
Smith ringraziò Souness e accettò la proposta del presidente coronando infine
il suo sogno. Più d’uno tra i tifosi storse il naso, non lo consideravano
abbastanza bravo per vincere “Ha fatto solo il vice fin qui” il ritornello.
Con Walter Smith alla guida i Rangers vinsero i successivi
sei campionati consecutivi che, aggiunti ai precedenti tre vinti da Souness con
Smith al suo fianco, eguagliarono il record del Celtic di Jock Stein di nove
campionati consecutivi vinti. In aggiunta mise in bacheca anche tre Coppe di Scozia,
che valsero tre double, e tre Coppe di Lega una delle quali andò a completare
il treble del 1992/93. In quell’anno sfiorò anche la finale della neonata
Champions League finendo secondo, un punto dietro al Marsiglia nel girone di
semifinale, ma avendo eliminato i campioni inglesi del Leeds United con doppia
vittoria al secondo turno.
Lasciò i Rangers per l’Everton nel giugno ’98 al termine
della prima stagione per il club (e sua) finita a mani vuote. Qui dovette fare
i conti con una cronica mancanza di soldi e la lotta per non retrocedere.
Quando se ne andò, quattro anni dopo, il club aveva raggiunto stabilità
finanziaria e la squadra si era allontanata definitivamente dalle zone basse
della classifica. Rimediò però l’unico esonero della sua carriera.
Momentaneamente a spasso, il vecchio amico Alex Ferguson si
ricordò di lui chiamandolo come suo vice ad Old Trafford. Insieme vinsero la FA
Cup del 2003.
Venne quindi la chiamata della SFA che gli offrì la guida
della nazionale, abbastanza malridotta dalla gestione Vogts. Riuscì a
raddrizzare un po la baracca, ottenne un paio di buoni risultati battendo la
Francia e pareggiando contro l’Italia in partite di qualificazione. Il rank
FIFA migliorò sensibilmente ma le qualificazioni a mondiali ed europei continuarono
a sfuggire. Più importante, quando arrivò sulla panchina della Scozia, trovò
Tommy Burns come vice-allenatore. Burns era stato una leggenda del Celtic prima
come giocatore, poi anche come allenatore, i due già si conoscevano. Smith, che
stimava Burns, lo mantenne al suo posto, dimostrando, da uomo di calcio e solo
di calcio, che le divisioni potevano essere superate e rimanere circoscritte
allo stadio e ai novanta minuti. Quando al funerale di Burns, ucciso da un
tumore a soli 56 anni, Walter Smith si presentò e portò a spalla la bara
dell’amico, l’ambiente del calcio scozzese ricevette un’ inaspettata quanto
utile lezione di come si stà al mondo.
Il cammino alla guida della nazionale finì a gennaio 2007
quando da Ibrox chiamarono per soccorso urgente e rimediare all’infelice
operato di Paul Le Guen, appena licenziato. Walter Smith corse al capezzale dei
Rangers e vi rimase per altre quattro stagioni vincendo ancora tre campionati
consecutivi, due coppe di Scozia e tre coppe di lega che portarono il suo
totale personale a 21 trofei vinti (in undici stagioni) e ne fecero
l’allenatore più vincente nella storia del club del dopoguerra.
Prodotto di suoi tempi, forgiato da McLean, Smith è stato un
manager autoritario. Una passione per il calcio enorme, quando giocava con le
riserve al venerdì, al sabato andava a studiarsi una partita della massima
serie annotandosi tutto. Una formazione che gli permise di emergere come
allenatore sempre sostenuta da una forte competitività e da un’autoritarismo spietato
che non ammetteva repliche. Walter Smith era un duro, educato, gentile,
sorridente ma un duro.
Difficilmente perdeva le staffe in pubblico, era più
concentrato a vincere e ad esultare, ma gli capitò qualche volta con la stampa.
Maltrattò un giornalista esordiente ad una conferenza stampa sbattendolo fuori
dalla sala salvo poi chiamare il suo boss prima che questi rientrasse in
redazione per dirgli di non preoccuparsi ma che la lezione era dovuta,
specialmente davanti ai colleghi più anziani. Come faceva negli spogliatoi. Psicologia
spiccia ma efficace, durante il suo secondo periodo ad Ibrox consegnò le
medaglie della vittoria in campionato dell’anno prima nel momento cruciale
della volata scudetto della stagione successiva per spronare la truppa. I suoi
giocatori lo adoravano. Fenomenale poi la demolizione del reporter della BBC
Chick Young la mattina dopo l’eliminazione dalla Champions League per mano dell’
AEK Atene che gli diceva come Brian Laudrup e Basile Boli fossero inadeguati
per una campagna europea. Senza perdere la calma, quasi sussurrando in tono
confidenziale, ma porco cane non avrei voluto essere il giornalista.
Portò ad Ibrox gente come Brian Laudrup e Paul Gascoigne e
che riuscì ad amalgamarli con i vari McCoist, Gough, Hateley e Goram per non
dire Durrant riuscendo a tirare fuori il meglio da tutti loro.
E’ vero che nel momento in cui fu nominato allenatore la
prima volta i Rangers erano la squadra con più soldi di tutto il Regno Unito ma,
è anche vero che le sue capacità di creare squadre vincenti sono sempre state
fuori discussione. Quando tornò la seconda volta la cosa fu persino più
evidente. Significativa l’esplosione di McCoist da lui promosso titolare non
appena Souness se ne andò a Liverpool. Significativo il rapporto instauratosi
tra i due da allora.
Ancorato ad un 4-4-2 britannico classico, le sue squadre
sono sempre state poco tattiche, molto atletiche e parecchio spettacolari,
basate sul collettivo e impreziosite da tre-quattro elementi di classe. Difesa
forte ancorata intorno al roccioso Gough, sempre con un terzino d’attacco.
Centrocampo di corsa e fosforo ben impersonificato da McCall e due davanti con
spiccate doti realizzative. Coppie come Hateley-McCoist e McCoist-Laudrup avrebbero
fatto faville anche fuori dalla Scozia. Si vinceva sbaragliando, più raramente
in trincea come nella finale di Coppa di Lega del 2010, mai tenendo palla
stucchevolmente.
Quando tornò in panchina a metà del 2007/08 la squadra
arrancava alle spalle di un Celtic che sembrava irraggiungibile. Si rimise al
comando e ancora una volta azzeccò gli acquisti, riuscì a creare un collettivo
robusto e compatto e dalla stagione successiva infilò tre vittorie consecutive
in campionato. Sfiorò anche il colpo in Europa nel 2008 perdendo la finale di
Coppa UEFA, ma qui forse anche la scarsa competitività del campionato scozzese
non ha mai aiutato.
“Mio nonno era un grande tifoso dei Rangers, appassionatissimo
alla squadra. Uno che andava ad ogni partita, senza mai indossare una sciarpa,
senza mai cantare una canzone, sempre presente. Un uomo che seguiva i Rangers
religiosamente.”
Così Walter Smith imparò a seguire i Rangers, così li ha
vissuti, così li ha gestiti quando è toccato a lui.
Accettò di rientrare nella dirigenza con incarico non
esecutivo all’indomani del fallimento, si penti subito realizzando di aver
commesso un’errore di valutazione, uno dei pochi. Il nuovo proprietario voleva
infatti usarlo come parafulmine con i tifosi per mascherare i propri maneggi
societari. Si presentò quindi al consiglio di amministrazione decisivo con in
mano la vecchia foto di lui e suo nonno ritratti fuori da Ibrox il giorno in
cui ci andò per la prima volta. Disse: “Signori, questo è quanto il Rangers
Football Club significa per me. Per la memoria di mio nonno e il suo
insegnamento rifiuto di starmene qui a far niente (mentre altri decidono) e di
assumere la carica che mi offrite. Meno di una settimana dopo il presidente si
dimise. Nominato presidente a sua volta restò in carica tre mesi e si adoperò per
l’entrata in società di Paul Murray e Dave King a loro volta fondamentali nella
rinascita del club.
Goodbye Walter e grazie, mi sono divertito un sacco.
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