CALCIO E POLITICA: LA GRANDE UNGHERIA

 




CAPITALE  

Con novantotto campionati vinti dalle sue squadre su un totale di centoquindici, ventisei campionati consecutivi, dalla prima edizione, disputati unicamente da squadre da essa provenienti, una cinquantina che vi hanno partecipato almeno una volta e quasi altrettanti stadi o semplici campi sportivi, Budapest può, a buon diritto, essere considerata la capitale europea del calcio per la prima metà del XX secolo. 

Una diffusione così capillare e un livello di gioco tale da far quasi impallidire la Londra del tempo, culla del calcio britannico e mondiale. Nel periodo che va dalla fine della prima, all’inizio della II guerra mondiale, le sue squadre nascono, si moltiplicano e si evolvono fino a raggiungere livelli altissimi nel panorama continentale, suffragati da risultati prestigiosi quali una vittoria sull’Inghilterra già nel 1934, la finale del mondiale 1938 e i successi in Mitropa Cup di Ferencváros e Ujpest. 

Ma sarà il decennio successivo al termine del secondo conflitto mondiale a testimoniare la più grande espressione del calcio ungherese (e forse mondiale) di ogni tempo. Un’epopea irresistibile che vide una squadra di club salire dall’anonimato alla ribalta nazionale e la squadra nazionale, ad essa legata a doppio filo, lanciata alla conquista del mondo, una conquista mancata di un soffio ma che non mancherà di guadagnare all’Ungheria l’ammirazione e il riconoscimento del mondo intero. 

MANIPOLAZIONI 

Le prime elezioni libere del 1945 videro una netta vittoria di un partito democratico (Partito dei Piccoli Proprietari) sul Partito Comunista. Questi ultimi, appoggiati dalle forze di occupazione sovietiche, liberatrici del paese, non gradirono. Ne seguì una campagna diffamatoria prima, e politica poi, che nel giro di un biennio vide il partito comunista liberarsi via via degli avversari politici fino ad ottenere il controllo assoluto del paese nel 1949. 

Lo sport non sfuggì agli eventi e ne subì il corso. Il calcio in particolare, causa la sua grandissima popolarità, fu visto come un fenomeno da porre sotto lo stretto controllo del regime, anche se, fino a quel fatidico 1949, sembrava aver scampato il programma di normalizzazione imposto dai sovietici. I campionati erano ripartiti, le squadre erano rimaste quelle, persino il glorioso MTK, sciolto dai nazisti durante l’occupazione, era stato riformato ed era ripartito. Le elezioni politiche di quell’anno però decretarono la vittoria a valanga del Partito dei Lavoratori Ungheresi, il cui leader Mátyás Rákosi, fervente ammiratore dell’Unione Sovietica e del suo indiscusso leader, baffone Stalin, diventa di fatto leader del paese e ne comincia il processo di stalinizzazione. 

In ambito sportivo, già il 13 gennaio l’OTSB, il Comitato Sportivo Nazionale, venne tolto al controllo del Ministero della Cultura e posto alle dirette dipendenze del gabinetto di governo: chiaro l’intento di agire in maniera diretta e unilaterale sul mondo dello sport. La stagione 1949/50 diventa così memorabile, un drammatico susseguirsi di eventi che a, partire dai primi di dicembre, cambierà i connotati del calcio ungherese per i futuri dieci anni condizionandone, incredibilmente in meglio, i risultati sportivi. Così nella pausa invernale della stagione 1949/50 si comincia proprio dal MTK, uno dei due grandi e vincenti club di Budapest che, resuscitato in un primo momento, quindi assegnato al Sindacato dei Lavoratori Tessili con il nome assai poco accattivante di Textiles, venne posto sotto il controllo diretto della polizia segreta, la temibile AVH, un provvedimento che lascerà un segno indelebile sul vecchio e glorioso club che da qui in avanti si alienerà le simpatie dei tifosi pur mantenendo un profilo di grande successo. 

Un chilometro di distanza verso sud, forte pulsa la passione biancoverde, forte batte il cuore per il Ferencváros, espressione pallonara dell’omonimo quartiere, nel IX distretto cittadino, squadra che con l’MTK aveva fatto incetta di campionati vinti fino a quel momento. Un quartiere popoloso e popolare, operaio, fortemente coeso e patriottico, attaccatissimo alla propria squadra, la cui popolarità, in virtù dei numerosi trionfi, aveva varcato sia i confini del quartiere che quelli cittadini. Una realtà scomoda per il regime che non riuscendo a controllarne la grandezza sceglie di declassarlo cercando di mandarlo ai margini ponendolo alle dipendenze del periferico sindacato dei lavoratori dell’industria alimentare. Un colpo di spugna mirato alla cancellazione virtuale, con le iconiche maglie bianco-verdi cambiate in un rosso con bordi bianchi più consono al regime. In quei primi giorni di gennaio del 1950, il grande Fradi si ritrovò di colpo a chiamarsi EDOSZ e indebolito d’autorità causa le sue radici profondamente nazionaliste e il suo enorme seguito avverso al nuovo regime. 

Forti anche le resistenze a nord della capitale: Ujpest, città nuova, fondata a metà Ottocento da un’industriale calzaturiero cui furono negati, in quanto ebreo, cittadinanza e permessi per le proprie attività a Budapest e che qui fondò una nuova comunità in cui, messi per iscritto, vigevano libertà di culto, di affari e di stampa. La sua squadra di calcio, fondata nel 1885 ne costituì sempre l’emanazione sportiva, legata a doppio filo al tessuto urbano, sociale ed industriale, e ne fu per mezzo secolo orgoglio e bandiera. Tre campionati vinti consecutivamente a fine conflitto, una macchina da gol inarrestabile (capace di andare a segno 187 volte in una singola stagione). La dirigenza cerca di opporsi al piano del governo, i connotati identitari tra club e popolazione sono forti, ma è proprio questo il vincolo che le autorità filo-sovietiche vogliono recidere e, alla fine, anche per l’Ujpest non c’è scampo: il nome viene cambiato in Budapest Dózsa e il club posto sotto il controllo del Ministero degli interni, d’ora in poi sarà la squadra della polizia. 

Rimaneva aperta la questione esercito e qui entra in scena il personaggio chiave di quella stagione di cambiamenti drammatici, l’artefice del periodo di maggior successo nella storia del calcio ungherese: Guzstáv Sebes. Sebes aveva giocato nelle giovanili del Vasas. Si trovò impiego nell’industria automobilistica e aderì ben presto all’ideologia marxista, accettò un trasferimento allo stabilimento Renault di Billancourt, dove rimase quattro anni rivestendo la carica di delegato sindacale e giocando per il locale Club Olympique. 

Rientrato a Budapest nel ’27 divenne calciatore con l’MTK, dove ebbe come allenatore Jimmy Hogan, l’inglese considerato il padre del calcio ungherese e di tutti i suoi successi, fautore del passing-game, degli allenamenti mirati alla tecnica individuale, della disciplina tattica e della forma fisica, artefice dei nove campionati consecutivi vinti dal MTK e della prima grande versione della nazionale ungherese finita seconda al mondiale in Francia. Sebes ne fu grandemente influenzato e, complice la sua smisurata passione per il calcio, ne raccolse il testimone nel tentativo, se possibile, di migliorarne l’opera. 

Smesse le scarpe chiodate nel 1940 passa ad allenare l’anno dopo lo Szentlőrinci, nel 1942 passa alla guida dello Csepel, campione d’Ungheria con i quali bissa il titolo alla sua prima stagione. Le sue idee politiche gli valgono vari incarichi governativi già dal ‘46, quindi diventa uno dei tre commissari deputati alla ricostruzione della squadra nazionale di calcio, nel 1949 è vice-ministro dello sport incaricato di ricostruire la nazionale di cui diventa allenatore unico. Ma è da tempo che ha un piano, e grazie alla sua scalata alle gerarchie politiche e federali, adesso è arrivato il momento di metterlo in opera. 

Grande ammiratore del Wunderteam austriaco del decennio precedente, Sebes aveva la ferma convinzione che la miglior cosa da farsi per avere una nazionale fortissima era, oltre ai giocatori forti, che non mancavano, raggruppare questi ultimi in unica squadra in modo da poterne sviluppare potenziale ed amalgama su basi continuative. Le condizioni adesso facevano si che questo potesse realizzarsi: la squadra dell’esercito. 

NASCITA DI UN MITO 

Kispest nel 1949 era ancora un paesone alle porte della capitale, la riforma amministrativa avverrà solo l’anno dopo, con una squadra in serie A dall’immediato primo dopoguerra ma, eccezion fatta per un secondo posto nel 1920, sempre rimasta intruppata a centro classifica. Già dal 1943 avevano però esordito nelle sue fila due ragazzi, due amici, poco più che 16enni e di grande talento: l’attaccante Ferenc Puskas e il centrocampista arretrato József Bozsik. 

Nel 46/47, primo campionato del dopoguerra, la squadra si piazza al secondo posto alle spalle del Ujpest, miglior piazzamento fino a quel momento, trascinata dai 32 gol di Puskas. L’anno dopo finiscono quarti, e Puskas vince la classifica marcatori con l’incredibile numero di 50 gol. Nel 48/49 arriva un terzo posto, Puskas segna 46 gol ma viene preceduto nella classifica marcatori dall’incredibile Ferenc Deák che mette a segno la bellezza di 59 reti, cifre stratosferiche. Sebes osserva con grande interesse e ammirazione. Il suo piano riguarda proprio loro. 

Con la porta dei due club più prestigiosi già chiusa, l’esercito deve obbligatoriamente guardare altrove. La squadra di Kispest è buona, il seguito anche, le sue imprese hanno risonanza che non esce dall’ambito locale: Sebes, che ha valutato tutto e fatto i suoi conti si rende conto che il Kispest corrisponde all’identikit perfetto della squadra da porre sotto il controllo dell’esercito senza sollevare un pandemonio. Tutto precipita a poche settimane dalla fine del girone di andata di quella drammatica stagione 1949/50, il 13 dicembre il Kispest batte 6-1 il Soroksár e rimane in testa alla classifica con punto di vantaggio sulle inseguitrici, MTK e Ferencvaros, è la tredicesima giornata e la squadra è in piena corsa per la vittoria del suo primo campionato ungherese. Una settimana più tardi però, il nome Kispest AC non si trova più, sparito. Cambiata la scritta sulla sede, sullo stadio, nei registri ufficiali non c’è più traccia. Cancellato anche dalla classifica del campionato. Al suo posto Honvéd S.E., il nuovo nome. Nel giro di una settimana, il Kispest AC è stato posto sotto il controllo diretto del Ministero della Difesa - ‘fusione’ con la Honved SE- recitano i dispacci ufficiali del regime, in realtà un’acquisizione unilaterale . Il nuovo nome quindi è proprio quello: Budapest Honvéd S.E. (Associazione Sportiva dell’Esercito, Budapest).  Più o meno contemporaneamente, le autorità riformano anche l’assetto amministrativo della città e Kispest viene inglobata nei confini della capitale all’interno del XIX distretto, che porta il suo nome. Reciso ogni vincolo col passato, sradicati ricordi, tradizione e senso di appartenenza: il nuovo stato comunista cala la sua pesante mano anche sul calcio. Delle sei squadre che avevano chiuso la stagione precedente ai primi sei posti, solamente il Vasas passerà quasi indenne dalla purga riformatrice del nuovo regime. 

Come abbiamo visto, anche le due grandi storiche del calcio di Budapest, soffriranno la stessa sorte e nel gennaio del 1950 si ritroveranno inglobate in apparati statali e rinominate. La stagione termina con la prima vittoria in campionato della Honved: 50 punti, 4 in più dell’EDOSZ (Ferencvaros), 6 in più del Textiles (MTK). Ha inizio così il più incredibile periodo della storia del calcio ungherese, uno dei più incredibili di sempre. Sebes ha organizzato l’intera operazione Honved curandola nei minimi dettagli. Ora con la squadra in mano all’esercito si ritrova con un potere pressoché illimitato. Per legge ogni giocatore, allenatore, tecnico e dirigente della squadra viene arruolato nell’esercito, la coscrizione obbligatoria permette a Sebes di tesserare i migliori giocatori che non possono rifiutare il servizio militare soffiandoli alle squadre rivali. Arrivano così Sándor Kocsis, Zoltán Czibor e László Budai dal Ferencvaros, quindi Gyula Lóránt dal Vasas, poderoso difensore centrale. 

Sebes usa inoltre tutto il suo potere per portare alla Honved il portiere Gyula Grosics. Personaggio particolare dal passato turbolento, Grosics era nato da una famiglia di minatori a Dorogi, nel nord del paese, nel 1942 scappa in Austria e si arruola volontario nella venticinquesima divisione SS Hunyadi Páncélgránátos Hadosztály, una macchia che lo perseguiterà a lungo. Rientrato in Ungheria nel 1945 trova ingaggio nel MATEOSZ Budapest, I Divisione, dove si mette in luce per le sue qualità di portiere acrobatico dallo stile assai avventato ma sicuro; inoltre, precursore dei tempi, è bravissimo a giocare la palla coi piedi e a rilanciare l’azione velocemente. 

La polizia segreta lo tiene sotto controllo, conosce il suo passato, il processo di Norimberga ha sentenziato che gli appartenenti a quel reparto vengono classificati come criminali di guerra.  Un’infamia personale ma anche un problema con le nuove autorità comuniste che lo marcano a vista. In quel turbolento fine ’49 anche il MATEOSZ subisce il processo di statalizzazione voluto dal nuovo regime e si ritrova posto sotto il controllo delle industrie ottiche Gamma col nome di Teherfuvar. Grosics, che fin da bambino sogna la maglia del Ferencváros, di cui è tifosissimo, capisce che la sua carriera è ormai nelle mani del partito, tenta la fuga. Viene ripreso e riportato a Budapest, guardato a vista dall’AVH e reintegrato nei ranghi del Teherfuvar. Il suo salvatore si materializza nella persona di Sebes che suggerisce ai dirigenti dell’esercito il suo nome. 

Così quando giunge la chiamata delle autorità e gli viene prospettato il trasferimento alla più grande squadra di calcio ungherese, dentro di se pensa che sia la volta buona – finalmente giocherò nel Ferencváros . Con sua grande sorpresa e non senza una certa delusione, viene condotto invece a Kispest dove gli viene annunciato che la sua nuova squadra sarà la Honved: a posteriori un bel colpo di fortuna. La squadra è appena assemblata, ma non fatica a diventare subito la migliore del paese. Vince il campionato del 1950, il primo con il calendario convertito all’anno solare, come in Unione Sovietica, Puskas è capocannoniere con 25 reti. Secondi nel 51 con Kocsis capocannoniere a quota 30, poi ancora campioni nel 1952, Kocsis bissa il successo dell’anno precedente in cima alla classifica marcatori con 36 centri. Di nuovo secondi nel 1953, la Honved si aggiudica anche i campionati del 1954 e 1955 con Kocsis e Czibor, rispettivamente, in testa alla classifica dei marcatori: una macchina inarrestabile, il frutto del piano di Sebes. L’MTK, che gli forniva il restante blocco della nazionale, costituito da Zakarias, Lántos, Palotás e Hidegkuti, si aggiudicò i due titoli del 51 e del 53. 

I suoi giocatori, con l’aiuto delle autorità e dietro suo ordine rimasero al club. Sebes, che ha ormai il controllo totale dei giocatori, imposta la squadra secondo il suo credo, lo ste sso di Jimmy Hogan: te cnic a, allenamenti, condizione fisica impeccabile sono i tre pilastri delle sue convinzioni. Poi c’è lo schieramento tattico. Sebes era un tipo molto meticoloso, annotava tutto in quadernetto, per ogni partita c’era una disamina preventiva che portava poi alla formazione da far scendere in campo, comunque sempre la stessa, salvo infortuni, e quindi un’analisi di fine gara. Ma non è tutto. Se da un lato il regime comunista lo aveva aiutato a creare i presupposti per raggruppare i calciatori con i quali costruire la nuova nazionale, dall’altro il suo credo politico ne influenzò le vedute tattiche. Credeva in un approccio ‘socialista’ al gioco del calcio, i giocatori, per prima cosa, dovevano essere responsabilizzati in modo paritario, gli attaccanti dovevano aiutare in fase difensiva e viceversa i difensori farsi trovare pronti in fase di appoggio durante la manovra offensiva. I centrocampisti ovviamente vivevano questa situazione di continuo e dovevano essere mentalmente adatti a rapidi cambi di situazione: ora difesa, ora attacco, in una parola duttilità. Era questo che Sebes chiedeva ai suoi giocatori. C’era poi la fase motivazionale e qui Gustav non aveva rivali. Come ebbe a dire Grosics: “Sebes credeva molto nel socialismo, lo potevi percepire in qualsiasi sua frase o discorso. Faceva una questione politica di qualsiasi partita o competizione giocassimo. Parlava spesso di come la lotta tra capitalismo e comunismo si manifestasse anche sul campo da calcio oltre che in qualsiasi altro campo.” Era davvero convinto che ci fosse un modo di giocare ‘socialista’, il suo, e uno capitalista, quello degli inglesi e delle altre squadre dell’Europa Occidentale. 

LEGGENDARI 

Il 4 giugno 1950 cominciò, in parallelo alle vicende del campionato, anche il percorso della nazionale: la Polonia viene demolita a domicilio con un perentorio 5-2, doppietta di Puskas e tripletta di Szilági. È l’inizio della leggenda, una serie di 32 partite senza sconfitte: 28 vittorie e 4 pareggi, 144 gol fatti e 31 subiti, avversari triturati su ogni campo, prestazioni stellari, durerà quattro anni: un’eternità per i ritmi di allora. Il mondo si accorse di loro nel 1952 alle Olimpiadi di Helsinki. L’Ungheria demolì qualsiasi avversario, dalla Romania (la più sofferta), alla Svezia campione in carica (6-0 in semifinale), prima di avere la meglio in finale sulla forte Jugoslavia di Branko Zebec e Vladimir Beara. L’oro olimpico valse alla squadra, al rientro in patria, l’appellativo di Aranycsapat, squadra d’oro. Aranycsapat del 1952. Formazione della finale olimpica: Grosics; Buzánszky, Lantos; Bozsik, Lóránt, Zakariás; Hidegkuti, Kocsis, Palotás, Puskás, Czibor La prima partita del post olimpiade è in programma contro la Svizzera a Berna, valevole per la Coppa Internazionale 1948/53. Si infortuna Palotás, Sebes deve trovare una soluzione. In realtà il nome ce l’avrebbe, ma Hidegkuti, è lui il nome che ha in mente, mal si adatta alla posizione classica di centravanti. È un’ala fortissima ma non ha le caratteristiche fisiche per essere schierato al centro dell’attacco per duellare a stretto contatto con i difensori avversari. Anche qui Sebes non si fa trovare impreparato. Non solo è il responsabile tecnico della squadra nonché l’ideatore del disegno politico che gli permette di disporre dei giocatori che vuole, ma fa anche da coordinatore con gli allenatori di Honved e MTK. Alla guida di questi ultimi vi è Marton Bukovi che ha già provato, in campionato, per gli stessi motivi a schierare Hidegkuti in posizione centrale ma arretrata sulla linea delle due mezze ali. L’Ungheria è sotto di due gol alla fine del primo tempo, il cambio tattico eseguito da Sebes, da i risultati sperati: i difensori elvetici vanno in confusione, la rigidità mentale dovuta all’impostazione schematica, ancorata al WM, non permette loro di adeguarsi. Vengono travolti nel secondo tempo, a segno Puskas (due volte) e Kocsis, che sfruttano i vuoti lasciati dai difensori, risucchiati all’indietro da Hidegkuti, che segna poi il quarto gol. È la nascita del centravanti arretrato.

Le prodezze continuano, l’Ungheria vince quella edizione della Coppa Internazionale, en passant rifila un tremendo 3-0 all’Italia sul terreno amico dell’Olimpico. Gli echi delle imprese varcano la Manica e destano grande impressione tra gli imperturbabili dirigenti inglesi che per festeggiare i 90 anni della Football Association invitano l’Ungheria ad un’amichevole da disputarsi a Wembley nel novembre 1953. 

25 novembre 1953, il giorno in cui il calcio viene capovolto. L’Ungheria si presenta a Londra per giocare quello che gli inglesi, ancora convinti di essere i migliori interpreti mondiali del gioco, battezzano ‘la partita del secolo’. I resoconti su questa partita sono infiniti, inutile ripercorrerne l’infinita aneddotica. Ad ogni modo Hidegkuti va in gol dopo un minuto ricevendo palla in posizione arretrata e stampando un bolide dal limite sotto la traversa. Pareggiano gli inglesi che caricano a testa bassa al 13’. Da qui in avanti un monologo dei giocatori in maglia rossa che al 27’ sono in vantaggio per 4-1 con la difesa inglese Wembley 25.11.1953. Ingresso in campo delle due squadre in completo stato confusionale e l’intera squadra incapace di abbozzare qualsiasi tipo di controffensiva, sopraffatti dalla corsa degli avversari che intercettano loro qualsiasi passaggio. Il risultato finale di 6-3 lascia costernati i 105.000 spettatori accorsi alla partita, tutti tranne uno, il vecchio Jimmy Hogan che, snobbato dai parrucconi federali inglesi e invitato alla partita dagli ungheresi, assiste al trionfo di quel calcio che lui aveva così fortemente contribuito a sviluppare trent’anni prima. 

Nessuna squadra continentale aveva mai battuto l’Inghilterra a Wembley. Il risultato lascerà un segno pesante sul calcio inglese che arriva così a dover fare i conti con un’evoluzione del calcio europeo mai presa in considerazione prima di allora. Convinti che si sia trattato di una giornata molto sfavorevole e fedeli al loro incrollabile, unilaterale senso di sportività, i miopi inglesi concedono rivincita (ma sarebbe toccato agli ungheresi farlo) per l’anno dopo, da disputarsi a Budapest. Sarà un disastro di proporzioni cosmiche. I bianchi vengono disintegrati: sette gol in poco più di un’ora di gioco per un 7-1 finale che seppellisce per sempre le ultime velleità inglesi di supremazia sotto la più pesante sconfitta di ogni tempo. È la consacrazione definitiva per l’Aranycsapat, il mondo intero ha visto, il mondo intero ammira e per Sebes il raggiungimento del traguardo che si era prefissato quattro anni prima è, inoltre, il trionfo del calcio socialista sul calcio capitalista. 

Per le autorità politiche in patria un trionfo da sfruttare propagandisticamente. Per il popolo ungherese una rivincita sul grigiore abbattutosi sul Paese con l’avvento del regime filo-sovietico. È questa anche l’ultima partita del torneo che dovrà decretare l’entrata di questa squadra nell’orbita della gloria (calcistica) eterna. 

Il mondiale svizzero infatti parte tre settimane dopo, l’eco delle imprese di Puskas e compagni è grande, tutti prevedono un trionfo dell’Ungheria. Nessun problema all’esordio, la Corea del Sud viene sommersa dalla marea rossa: 9-0. Poi tocca alla Germania Ovest, all’esordio mondiale, anch’essa finisce in frantumi: 8-3. Puskas, toccato duro rimedia un infortunio alla caviglia. I quarti di finale pongono agli ungheresi il quesito Brasile, crocifisso a domicilio dagli uruguayani quattro anni prima e una delle altre due favorite, Ungheria sconfitta. Puskas e Fritz Walter si stringono la mano insieme ai campioni in carica. Sarà una partita durissima, con un espulso per parte, Bozsik per l’Ungheria che diventa così parlamentare il e primo credo ancora l’unico, espulso ad una partita dei mondiali. Alla fine di una dura battaglia l’Ungheria prevale: 4-2. Splendido il gol di testa di Kocsis per il 2-0. 

In semifinale c’è l’Uruguay, non sarà una partita come le altre. L’Ungheria parte con il solito copione e chiude il primo tempo in vantaggio 2-0. C’è qualcosa però, nel gioco degli uruguaiani, che tiene la partita in sospeso. Atleticamente sono inferiori, ma sono tatticamente compatti, serrano le fila, chiudono gli spazi con diligenza ed ostinazione e ripartono in contropiede, la maestria di Schiaffino permette ai due attaccanti di trovare sempre qualche spazio per andare alla conclusione. Le folate in avanti dei sudamericani allargano le maglie dello schieramento ungherese che, piano piano, si fa più largo e meno sicuro. Ne approfitta Hohberg che realizza una doppietta, nei minuti finali Schiaffino si divora addirittura il gol della vittoria. Ai supplementari il copione non muta, gli ungheresi cercano di sviluppare le loro trame, gli uruguaiani aspettano e ripartono veloci: Schiaffino spreca un’altra occasione e poi colpisce un palo. Alla fina sale in cattedra Kocsis che fa centro due volte di testa, la sua specialità, e porta l’Ungheria in finale. 

Ad attenderli la Germania Ovest, già liquidata al primo turno con un perentorio 8-3, rientra Puskas, assente in semifinale. Partenza solita , Puskas e Czibor portano l’Ungheria sul 2-0 in otto minuti, Morlock accorcia al 10’. La pioggia cade fitta, il terreno è pesante, gli ungheresi sembrano accusare un po’ di fatica, al 18’ Rahn pareggia i conti. Per nulla turbati, i ragazzi di Sebes riprendono il controllo della gara e hanno altre quattro buone occasioni prima dell’intervallo ma non riescono a far centro. Partenza sparata anche nel secondo tempo e occasionissime per Bozsik e Puskas nel giro di due minuti, poi un doppio salvataggio sulla linea e una traversa colpita da Kocsis di testa: la palla non entra. Un gran tiro di Rahn è respinto da Grocsis al 72’, poi un’altra ghiotta occasione per l’Ungheria al 78’ con Hidegkuti che colpisce l’esterno della rete. All’ 84’ la rete che decide i destini del mondiale, dell’Aranycsapat e forse anche dell’Ungheria: Schäfer ruba palla a Bozsik, e crossa in area, sulla respinta si avventa Rahn che finta il tiro, spiazza due difensori e con un rasoterra preciso infila la porta, Grosics, forse non esente da colpe, che si tuffa ma non ci arriva. Due minuti più tardi Puskas si inserisce su un passaggio in profondità di Toth, controlla e segna ma il gol viene annullato per fuori gioco, il punto interrogativo rimane enorme e la Germania Ovest si laurea campione del mondo. 

Finisce qui la scalata dell’Ungheria al tetto del mondo, una sconfitta che interrompe un’imbattibilità che durava da quattro anni e che ferma la Grande Ungheria letteralmente ad un passo dal sigillo definitivo. 

 AFTERMATH 

La sconfitta destò grande sensazione in patria. L’immedesimazione della gente con le imprese della squadra si era fatta molto forte e l’insuccesso diede luogo a sfoghi, frustrazioni e proteste. Dimostrazioni e disordini si ebbero a Budapest ed in altre città, contro la squadra ma anche, soprattutto, contro il regime di Rakósi che ne aveva cavalcato i successi vantandone i meriti e per propaganda di regime accrescendo il proprio prestigio davanti all’alleato sovietico mentre la popolazione restava sottomessa con la forza. Il regime preso alla sprovvista reagì con durezza sia verso la popolazione, cui fu confermata la mancanza di diritti civili mediante durissimo soffocamento della rivolta, sia verso la squadra cui furono negati i privilegi precedentemente accordati. L’operato di Sebes fu messo sotto inchiesta ma riuscì a superare le accuse e rimase alla guida della nazionale. Sotto accusa finì anche Grosics, incolpato del gol vittoria tedesco: i suoi precedenti lo misero in una posizione scomoda, fu accusato di tradimento e spionaggio e posto agli arresti domiciliari. Processato, verrà scagionato ma espulso dall’esercito e spedito a giocare al Tatabanya, ai margini del calcio ungherese dove rimase fino a fine carriera. 

Quando in ottobre l’Ungheria si recò a Glasgow per incontrare la Scozia in amichevole, un’enorme folla di 115.000 spettatori gremì le gradinate del glorioso Hampden Park. Fu una vittoria sofferta, 4-2 il risultato, l’irriducibilità scozzese mise a dura prova la maestria ungherese, con questi ultimi che alla fine dovettero complimentarsi con gli avversari: nessuno era mai andato così vicino a non perdere contro l’Ungheria in amichevole dal 1950.

Gustav Sebes fu licenziato nel giugno del 1956 e sostituito con Marton Bukovi, del MTK, suo amico, collega, nonché ex collaboratore in nazionale, il quale continuò sulla falsa riga del predecessore. 

La splendida serie dell’Arnaycsapat si chiuse il 23 settembre 1956 a Mosca. L’Unione Sovietica era imbattuta in casa e, a detta di molti, accreditata alla successione dell’Ungheria quale miglior squadra del mondo. 

Le alte gerarchie dell’apparato sovietico consideravano i propri giocatori come esempi dei principi morali e sportivi del socialismo, si aspettavano una vittoria sicura e prepararono la partita come un evento solenne. Non la pensava così Czibor che realizzò il gol vittoria e interruppe l’imbattibilità casalinga dell’Unione Sovietica, ammutolendo i 102.000 presenti e l’intero palco delle autorità. 

Il risultato incrinò, se possibile, ancora di più i rapporti tra i due Paesi, e rinvigorì ulteriormente il fervore patriottico che sfocerà nella rivolta di un mese dopo. Fu l’ultima di 50 partite: 42 le vittorie, 7 pareggi ed una sola sconfitta, purtroppo nella partita che contava di più, dopo aver dato lezioni di calcio al mondo intero. 

EPILOGO 

Nel frattempo, a Budapest il malcontento cresceva. La morte di Stalin l’anno precedente, aveva portato ad un timido allentamento nella rigidità del regime, ci fu un cambio al vertice e alcuni esponenti del partito comunista caduti in disgrazia sotto Rakosi furono riabilitati. Uno di loro, Janos Kadar, scampato ad una condanna a vita nel 1952, aveva legami diretti con il calcio, avendo militato da ragazzo nelle fila del Vasas, fu liberato nel ’54, e nell’ambito della sua riabilitazione come funzionario di partito, ricominciò la carriera dirigenziale proprio dal calcio venendo nominato, guarda un pò, presidente del Vasas. 

Il 24 ottobre una folla di oltre 20.000 persone si radunò presso il monumento a Jozsef Bem, eroe ungherese, chiedendo riforme, libertà e indipendenza dal potere straniero. Il nuovo segretario del partito, Ernö Gerő, un ultra-conservatore staliniano ordinò la repressione che lasciò sul terreno parecchie vittime tra i dimostranti. Le rimostranze aumentarono e il Politburo ungherese, colto dal panico, rimosse il giorno dopo Gerő nominando al suo posto proprio Kadar. Se è vero che è facile pensare che la gente avesse alt ro di cui occuparsi in quei drammatici giorni, è invece interessante scoprire come il calcio ebbe più intrecci con gli sviluppi della ribellione di quanto si possa pensare. 

Il centro della resistenza, sviluppatasi intorno a Piazza Corvino, si consolidò all’interno del IX distretto, Ferencvaros guarda caso, dove la forte identità nazionalista aveva fatto storcere il naso agli stalinisti in quell’inverno ‘49/’50 quando le squadre di calcio erano state nazionalizzate. A Ferencváros le truppe sovietiche non riuscirono ad entrare per spezzare la resistenza dei rivoltosi, da Ferencvaros i carri armati dell’armata rossa si ritirarono fuori Budapest, all’esterno dello stadio Üllői út si radunarono la mattina del 1° novembre migliaia di persone a celebrare quell’effimero (si vedrà poi) trionfo: lo stadio assurto a luogo simbolo dell’identità locale, la squadra a simbolo dell’identità locale e nazionale. Furono lo stesso Kadar e Münnich, ex presidenti di Vasas e Fercencváros, a negoziare la formazione del nuovo governo imposto da Mosca. 

La repressione sovietica però non si fece attendere, dal 4 novembre, l’armata rossa lanciò un’operazione di contrattacco che spense brutalmente gli animi dei rivoltosi, i morti furono migliaia. Curiosamente in quei giorni le due squadre più rappresentative del Paese si trovavano all’estero: l’Honved in tournèe in Europa per preparare la sfida di Coppa dei Campioni contro l’Athletic Bilbao, l’MTK a Vienna con destinazione Inghilterra, il Ferencvaros in Jugoslavia. Furono giorni agitati, i rossoneri persero il confronto con i baschi, il pareggio 3-3 su neutro di Bruxelles, dopo che Budapest fu scartata come sede del ritorno, eliminò Puskas e compagni, che pochi giorni dopo si dispersero tra Italia, Spagna e Sudamerica, quasi nessuno rientrò in patria. I giocatori del MTK, ancora sotto il controllo della polizia segreta, che verrà sciolta poco dopo, furono ‘costretti’ a  rientrare. La diaspora del Honved impedì, forse all’unica squadra in grado di farlo, di contrastare il Real Madrid in Coppa dei Campioni, ironia della sorte Puskas finirà proprio tra le file dei bianchi. 

Kadar rimase in sella al termine della repressione e, dopo la tragica fine di Nagy, cominciò un processo di piccole concessioni alla società ungherese memore delle torture e delle privazioni delle libertà del periodo stalinista. In campo sportivo l’OSTB, fu sciolto e lo sport tornò a dipendere dall’omonimo ministero. Come risultato, la morsa dello stretto controllo governativo sui grandi club calcistici della capitale cessò; in tour in Inghilterra, il Vörös Lobogó usò il vecchio nome di MTK e, di ritorno in patria, il club fu sganciato dal controllo dell’AVH e riprese ufficialmente il proprio nome. 

Anche il Ferencváros, impegnato contemporaneamente in Jugoslavia ritornò a giocare con il vecchio nome e in maglia biancoverde per la prima volta da quel dicembre ’49 in una partita contro il Vojvodina a Novi Sad. 

Il Budapest Dozsa tornò al vecchio nome ma non riuscì a liberarsi dal vincolo del Ministero degli Interni, che ne mantenne il controllo, con un compromesso sul nome che cambiò in Ujpest Dozsa. L’Honved rimase tale ma, come abbiamo visto, subì la defezione di parecchi giocatori e non fu più la stessa. Il ritorno ai connotati identitari pre-1950 dimostrano l’importanza delle squadre di calcio dal punto di vista dell’identità locale e sociale per l’Ungheria di quel tempo e come, sotto la stretta di una dittatura molto repressiva, questi simboli dell’identità collettiva non morirono ma rimasero saldi nei sentimenti della popolazione che ne chiese il restauro una volta la morsa si allentò. 

Fu il Vasas, squadra cara a Kadár, ormai con ben salde in mano le redini del paese ad approfittare della dissoluzione della Honved. Il club, saldamente in mano al sindacato dei lavoratori siderurgici quindi ‘gradito’ al regime, rimase sostanzialmente invariato durante le purghe del 1950 e aveva continuato la sua attività calcistica. La nomina di Lajos Baroti ad allenatore fece compiere loro il salto di qualità definitivo. Già vincitore della coppa nazionale nel 1955, il Vasas vinse il campionato del 1957, poi ancora nel 1961, 1962, 1965 e 1966, parecchi dei suoi giocatori finirono in nazionale dopo la diaspora della Honved. Le affermazioni si ripeterono anche in campo internazionale: vittoria in Mitropa Cup nel 1956 e 1957, ripetuta poi nel 1962 e 1965. Iscritto alla Coppa dei Campioni 1957/58, arrivò fino alla semifinale dove cedette il passo al Real Madrid di Puskás; sconfitti 4-0 nell’andata a Madrid, procurarono un bello spavento ai bianchi imponendosi per 2-0 nella gara di ritorno, andando vicino più di una volta alla terza segnatura. 

Baroti guidò poi la nazionale, ricostruì la squadra che ben figurò ai mondiali del 1962 e 1966, fuori ai quarti in entrambi i casi ma destando sempre ottima impressione e più di un rimpianto, specialmente nel ’66 quando eliminarono i campioni in carica brasiliani (3-1) . 

Il ritrovato Ferencváros tornò al successo dopo gli stenti dell’era staliniana. Il rinnovato orgoglio, unito alla grandissima capacità e tradizione del club, produsse una nuova generazione di grandi giocatori che ebbe il suo miglior esponente nell’attaccante Florian Albert che diventerà, nel 1967, il primo e per ora unico Pallone d’Oro ungherese. Tre titoli nazionali nel corso degli anni 60 e anche un ottimo ruolino internazionale con l’affermazione in Coppa delle Fiere nel 1965, un’altra finale, stavolta persa, nel 1968, fino ad arrivare alla finale della Coppa delle Coppe 1975, sconfitta 3-0 dalla Dynamo Kiev di un giovane colonnello Lobanovskyi, che segna il termine della parabola ungherese nel calcio di alto livello.



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