REGOLE?

                                 

Non avrei mai pensato, forse non volevo pensare, che sarebbe successo, ma è successo.

Incappai casualmente nell’accaduto in diretta. Questo scrivevo nel maggio '18.

Magonza – Friburgo, scontro salvezza in Bundesliga: al rientro negli spogliatoi per l’intervallo l’arbitro, Signor Guido Hinkmann da Kerken, Renania del Nord, si attarda a bordo campo richiamato dalla centrale VAR di Colonia (a qualche centinaio di chilometri dal campo!) che stà rivedendo un episodio dubbio accaduto al 41’ minuto. Nel frattempo Hinkmann, che aveva sorvolato sull’episodio, ha portato a termine la prima frazione di gioco e mandato le squadre negli spogliatoi. Dalla centrale l’arbitro viene avvisato che si, il mani c’era e quindi anche un rigore (per la squadra di casa). Prontamente Hinkmann richiama in campo i giocatori delle due squadre dagli spogliatoi per far tirare un rigore che lui concede quando il primo tempo è già finito.

A termini di regolamento può darsi che l’operato dell’arbitro sia stato corretto, personalmente ho due dubbi. Il primo: Hinkmann avvisa il giocatore incaricato del tiro dagli 11 metri (l’argentino De Blasis) che ha a disposizione solo il tiro, dopodiché fischierà di nuovo la fine del primo tempo. Peccato però che quando si ha un rigore durante una partita, se il portiere o i legni respingono, chiunque può tentare di ribattere a rete, perché il gioco è ripreso al momento del calcio e poi la partita continua, ma non in questo caso. Regolamentare? Direi proprio di no

Secondo, aspetto non regolamentare, o forse si ma non si capisce più nulla:si è tornati su un’episodio accaduto minuti prima del fischio finale del primo tempo, episodio già valutato dopo il quale il gioco è proseguito fino al termine della prima frazione. Quindi si è tornati per un attimo al 41’, si è aperta una parentesi (o una porta con la macchina del tempo), si è tirato il rigore, segnato, quindi chiusa parentesi (o porta della macchina del tempo), tutti negli spogliatoi col risultato di Magonza 1-0 Friburgo invece di Magonza 0-0 Friburgo. Sarebbe andato bene in Ritorno al Futuro, che è un film, ma non qui, un’evento sportivo diviso in due frazioni con inizio e fine certa, una certezza che ormai non è più tale visto il precedente creatosi. A mio parere un evento catastrofico (in ambito calcistico ovviamente), la partita quindi quando è da considerarsi chiusa? grottesco.

Ciò che ne risulta è che un’evento che si svolge lungo una direttrice temporale lineare, cioè inizia al minuto zero e finisce al minuto 45, ne risulta temporalmente sovvertito dalla possibilità di poter tornare indietro a periodo ultimato per modificare eventi conclusi. Sulla gravità della questione non credo sia necessario spiegare altro.

Secondariamente l’uso del VAR è considerato dal IAFB in prova, presso  due federazioni che si sono prestate all’esperimento (FIGC e DFB), ancora non vi è obbligatorietà, quindi di fatto non si gioca lo stesso gioco in Italia e Germania rispetto al resto del mondo e neppure tra le prime divisioni di Italia e Germania e le loro serie inferiori.

Il tanto detestato Blatter si era da sempre fieramente opposto a questa pagliacciata, ben consapevole delle conseguenze e dell’infinito strascico che ciò avrebbe comportato ma forse, neanche lui, si sarebbe immaginato di veder l’ordine  del tempo di una partita sconvolto.

Per quale motivo poi? Perché la gente non sa perdere. I ricchi scemi di sempre si buttano ancora nel calcio con i soliti vecchi propositi di prevalere, vincere e quell’odioso ritornello di ‘io spendo quindi voglio e devo vincere’. E no, mio caro. Il calcio sarebbe uno sport, nella fattispecie un gioco col quale bisognerebbe innanzitutto divertirsi e delle cui regole, tradizioni, modi usi e costumi bisognerebbe aver rispetto, cercando di preservarne l’esistenza.

Convinzioni peregrine nel tempo della tv a pagamento che invece si nutre di polemiche e continue ripetizioni di episodi estrapolati dal contesto della gara e sparati dalla gran cassa di risonanza della tv in faccia al pubblico che finisce poi per convincersi che sia giusto così.

Certo, non è la prima volta che le regole del gioco del calcio vengono modificate, ma si era sempre trattato di provvedimenti atti a facilitare le condizioni di svolgimento degli incontri o magari di cercare di rendere il gioco migliore, il suo scorrimento più fluido. L’esatto contrario di quello che stà succedendo oggi. La diffusione ed enorme popolarità del gioco del calcio hanno sempre avuto solide basi nella semplicità delle regole, della loro comprensione e della loro applicazione.

Le regole sono tutt’ora 17, delle quali dieci definiscono le condizioni necessarie per svolgere un incontro e solo sette relative allo svolgimento del gioco vero e proprio, di queste sette, solamente quattro veramente specifiche e cioè, fuorigioco, calci di punizione, rimessa laterale e calcio di rigore.

Le regole, scritte sullo stile della Common Law britannica, sono da intendersi come linee guida, e obbiettivi di principio da seguire e migliorare tramite la pratica del gioco, la tradizione e la loro applicazione da parte degli arbitri. Da questa nota introduttiva al regolamento del 1997 traspare chiaramente lo spirito sportivo, lo spirito del gioco che tutti coloro che si avvicinano alla pratica del gioco stesso, qualsiasi ruolo ricoprano, devono comprendere ed accettare. L’arbitro è chiamato ad esercitare il proprio buon senso, unitamente al proprio metro di giudizio nell’applicare tali regole. Ciò è comunemente nota come ‘Regola 18’ (ovviamente non scritta). E’ chiaro che il calcio di oggi sia andato alla deriva in direzione opposta, abbagliato dalle sirene d’Ulisse in rinnovata veste di miliardi di euro delle tv a pagamento che hanno reso completamente folle l’intero ambiente.

Dicevamo a proposito di regole: originariamente non vi erano regole, si giocava per strada, centinaia di uomini per parte che se le suonavano di santa ragione dall’alba al tramonto per riuscire a ficcare una palla davanti alla soglia della chiesa del paese vicino. Pratica più volte vietata dai sovrani inglesi già a partire dal XIV secolo. Gli inglesi, si sa, hanno la tendenza a fare sempre quello che gli pare, anche tra loro, la pratica del football quindi, benchè repressa, era continuata nel corso dei secoli, fino a quando, ai primi dell’800, all’interno delle Public Schools e delle università inglesi, cominciò un processo di codificazione del gioco finalizzato al consentirne la pratica all’interno di un contesto ‘civilizzato’. L’intero processo, durato una ventina d’anni, portò alla formazione della Football Association, anno 1863, e del suo regolamento da predicare in giro per l’Inghilterra.

In origine non vi erano porte, solamente due pali, a distanza di 8 yards l’uno dall’altro, che si prolungavano idealmente all’infinito e all’interno dei quali si doveva calciare, a qualsiasi altezza, per segnare il punto.

L’uso delle mani era consentito , per una presa al volo con chiamata, quella che sopravvive nel rugby col nome di ‘mark’ e che, allo stesso modo dava diritto ad un calcio libero.

Il fuorigioco era identico a quello del rugby, cioè chiunque fosse davanti alla linea della palla era in posizione irregolare. La rimessa laterale veniva accordata alla squadra il cui giocatore per primo arrivava a toccare la palla una volta che questa era uscita dal campo inoltre, la rimessa andava battuta perpendicolarmente alla linea laterale, come ancora si fa nel rugby. Non esisteva il calcio d’angolo.

Le squadre cambiavano campo ogni volta che veniva segnato un gol.

Un gioco assai diverso da quello che conosciamo oggi, diverso anche da quello con il quale sono cresciuto, a sua volta diverso da quello di oggi. E allora perché protesti così tanto? Mi si obietterà. Mah…non so: già il recupero istituzionalizzato non l’ho digerito, ancora meno la regola del retropassaggio al portiere. Almeno nella questione del recupero vi è alla base una motivazione inequivocabilmente sportiva: il 21 novembre 1891, sul vecchio campo di Perry Bar, l’Aston Villa era in vantaggio 2-1 sullo Stoke City ad un minuto dalla fine, quando l’arbitro decreta un rigore in favore degli ospiti. Il portiere del Villa, raccolse il pallone e lo calciò fuori dal campo con l’intento di far trascorrere il tempo, infatti quando il pallone tornò in campo l’arbitro aveva già fischiato la fine della partita, il rigore non fu tirato e il Villa vinse. Questo dice la leggenda, la realtà dice invece che William Dunning, questo il nome del portiere, arrivò all’Aston Villa l’anno dopo e non poteva essere tra i pali quel  giorno. C’era infatti Albert Hinchley, le cronache riportano il suo nome e non menzionano l’episodio. Che comunque accadde in quanto la Football Association emendò il regolamento l’anno dopo aggiungendo la possibilità di aggiungere un tempo di recupero per l’eventuale esecuzione di un rigore o di una punizione. Chiaro l’intento, trattandosi di gentlemen vittoriani, di sistemare la questione secondo principi di sportività.

Oggi è allo studio una riforma del regolamento, che io definirei più propriamente rivoluzione, per l’abolizione dei due tempi da 45 minuti a favore di due tempi da 30 minuti ciascuno di gioco effettivo, con stop all’orologio ad ogni interruzione di gioco. Della sportività vittoriana nemmeno l’ombra, chiaro invece l’intento di cedere alle pressioni di un’ambiente che sa ormai quasi solo litigare sotto il peso di centinaia di milioni di euro che nessuno, ai massimi livelli, può permettersi di perdere. Un altro passo da gigante verso il caos, auguri.

Ad ogni buon conto, le similitudini col rugby furono eliminate quasi subito,  nel giro del decennio successivo: l’uso delle mani venne proibito (e il mark eliminato), la rimessa laterale accordata contro la squadra che per ultima aveva toccato la palla prima che questa uscisse. Infine il fuori gioco venne emendato e la posizione di off-side venne a crearsi solo quando al momento del passaggio ci fossero almeno tre uomini tra la posizione del ricevente e la linea di fondo campo.

Si decise di aggiungere anche un nastro tirato tra i due pali, senza specificare a quale altezza. Il motivo fu dato da una partita a Reigate in cui n calciatore della squadra locale sparò un campanile tra i pali ad altezza di oltre 20 metri e reclamò il gol. Solo nel 1882 la regola verrà ufficialmente cambiata con l’introduzione di una traversa in legno posta ad un’altezza di otto piedi dal pelo dell’erba.

Il venerando Queen’s Park Football Club di Glasgow ne rivendica la paternità, insieme all’introduzione di un intervallo di 15’ tra i due tempi e a quella del calcio di rigore. Con loro anche lo Sheffield FC, il più vecchio club esistente al mondo e gli ex-Druids di Ruabon, superpotenza della pedata gallese alle origini. Probabilmente le adottarono tutti nel giro di poco tempo ad insaputa gli uni dagli altri. La traversa, delimitò il bersaglio da capire, ma non eliminò i dubbi – e le discussioni – in merito alla legittimità o meno di alcune segnature. Nonostante le lamentele avessero toni assolutamente pacati, degni dei gentlemen dell’epoca, si arrivò comunque alla clamorosa protesta del portiere inglese Joe Reader che contestò duramente il gol del pareggio irlandese a Belfast nel 1890,  sostenendo che la palla era passata all’esterno del palo. John Brodis, un ingegnere inglese presente all’incontro prestò particolare attenzione all’episodio e, riflettendoci sopra, con le mani infilate nelle tasche dei pantaloni, ebbe come una specie di illuminazione: una tasca! Ecco cosa serviva, una tasca. Tornò a Liverpool e si mise all’ opera  e, nel 1891 presentò il primo prototipo di rete che fu provato a Nottingham. Entusiasti, i dirigenti della FA presenti, ne decretarono l’adozione immediata, tanto da permetterne l’uso per la finale di FA Cup del 1892. Il primo a segnarci dentro un gol fu Fred Geary dell’Everton (va che caso).

 I cambiamenti alle regole sono stati diversi in 150 anni di calcio, spesso accessori e prima dell’avvento di questo intruso elettronico e due sono stati i provvedimenti che hanno inciso sullo svolgimento del gioco così come lo si praticava in precedenza all’introduzione ditali nuove regole.

La seconda riforma del fuorigioco e, in misura minore, quella del retropassaggio al portiere.

La concezione di fuori-gioco in Inghilterra era presente sin dalle prime versioni delle Cambridge Rules del 1848. Non potendo gli attaccanti trovarsi davanti al pallone è chiaro che il gioco si sviluppò di conseguenza. La famosa Piramide di Cambridge, schieramento tattico delle origini, corrispondente ad un 2-3-5 ne era la diretta conseguenza, come lo era lo stile di gioco basato su calci in avanti e tutti ad inseguire. Quando la prima modifica portò a tre il numero di difensori richiesti tra la posizione del ricevente palla e la linea di fondo campo, la ‘Piramide’ non si modificò più di tanto e rimase in uso, cambiò invece lo stile di gioco con attaccanti stazionanti davanti al pallone. Gli scozzesi, per opera ancora del Queen’s Park F.C. di Glasgow, si specializzarono nella variante conosciuta come ‘passing game’ , uno stile di gioco fatto da fitte trame di passaggi e un certo movimento dei giocatori rispetto agli interpreti delle più rigida piramide. Queste rese il Queen’s Park la più forte squadra di Scozia per un ventennio circa, nel quale vinsero 10 coppe nazionali e sfiorarono la vittoria nella FA Cup inglese venendo sconfitti in finale due volte, una delle quali per l’impossibilità, data la mancanza di fondi, di tornare a Londra per disputare la ripetizione. Anche la nazionale scozzese se ne avvantaggiò in quei primi anni; composta interamente da giocatori del Queen’s Park, dominò sulle rivali britanniche a lungo.

Quando la seconda riforma del fuori gioco fu introdotta, nel giugno del 1925, Herbert Chapman era appena stato assunto come manager dell’Arsenal. Il provvedimento scalava da tre a due il numero minimo di difensori che doveva trovarsi tra l’attaccante e la linea di fondo al momento del passaggio. Chapman che aveva già ribaltato le fortune del Northampton Town prima, portandolo alla vittoria della Southern League e dell’Huddersfield Town poi, vittoria in FA Cup e due campionati inglesi in tre stagioni successive, con l’arretramento dei due attaccanti interni della fila di cinque, su una linea intermedia tra quella degli attaccanti appunto e quella dei centrocampisti escogitò, a conseguenza della modifica regolamentare, un'altra variante tattica.

L’intuizione fu di spostare uno dei tre centrocampisti indietro, tra i due difensori, allargando la posizione degli altri due che si sarebbero occupati delle ali avversarie dimodochè la responsabilità del fuori gioco rimanesse esclusivamente prerogativa del ‘nuovo’ stopper che si regolava con la posizione del centravanti avversario. Fu un successo: gli schieramenti avversari andarono in crisi totale, le partite risultarono a volte in gazzarre confusionali con giocatori completamente smarriti in campo alla ricerca della giusta posizione mentre avversari più svegli ne approfittavano per infilarli.

L’obiettivo federale di incrementare la spettacolarità del gioco fu raggiunto in pieno : il numero di gol segnati nella Football League nella stagione 1925/26 salì a 6.373 dai 4.700 della stagione precedente. Fu un successo anche per l’Arsenal che, grazie al nuovo schieramento, si piazzò secondo alle spalle dell’Huddersfield Town che , con una squadra già rodatissima al ‘sistema’, vinse il suo terzo campionato consecutivo.

Il sistema inglese o WM si diffuse rapidamente e fu adottato pressochè ovunque, diventando la principale tattica calcistica dei futuri trent’anni. Fino al giorno in cui l’Ungheria si presentò a Wembley con la propria variante tattica al WM frutto di una necessità (riuscire a far giocare il talentuoso Hidegkuti, ala, in posizione di attaccante centrale senza esporlo ai maltrattamenti fisici diretti dei difensori): il centravanti arretrato. Come trent’anni prima, la rigidità mentale dei giocatori figlia degli schemi si rivelò fatale e l’Ungheria fece strame degli ammuffiti inglesi disintegrandoli con un 6-3 passato alla storia come uno dei giorni in cui il calcio, per davvero, cambiò. Nella partita di rivincita a Budapest l’anno dopo, gli ungheresi passeggiarono sulle macerie rimanenti del fu-calcio dei maestri impallinandoli con un’umiliante 7-1.

A livello di curiosità ci fu poi un tentativo di cambiare di nuovo la regola nei primi anni 70, riducendola agli ultimi 18 metri. Nel tentativo di rivitalizzare l’interesse per una competizione agonizzante, i parrucconi di Edimburgo sperimentarono quell’anno un fuori gioco applicato solo agli ultimi 18 metri, con il limite dell’area prolungato fino alle linee laterali. Non bastò a creare interesse, basti pensare che per la finale solo 28.000 persone si presentarono ad Hampden Park, uno stadio che poteva contenerne 100.000 in più. Ci fu comunque la sorpresa e il Dundee FC sconfisse il Celtic pigliatutto per 1-0. Le polemiche sollevate fecero si che l’esperimento venisse silenziosamente abbandonato.

 Saltiamo al 1997 quando, sotto la spinta di alcune componenti del mondo del calcio, le stesse, immagino, che adesso stanno spingendo per quest’ultimo scempio, fu proibito ai portieri di giocare il pallone con le mani su passaggio di piede di un compagno  ‘La spettacolarità del gioco'



, reclamavano a gran voce sti stolti. Come abbiamo visto, il provvedimento non ha impedito a nessuno di fare catenaccio, ma ha esposto a parecchi bravi portieri a figuracce nel controllo di palla coi piedi.

 Comunque fino a qui, nessun provvedimento aveva inciso sullo svolgimento in linea retta degli incontri in ottica temporale.

Adesso questo. Fa rabbia vedere stravolta una realtà consolidata in oltre cento anni di pratica per la sempre minor accettazione della sconfitta ma, soprattutto, per l’entrata a gamba tesa delle televisioni sull’avvenimento agonistico, specchio di una concezione del gioco non più legata al luogo deputato al suo svolgimento, lo stadio, ma ai fruitori remoti seduti in poltrona davanti alla tv.

Un disastro.

C’era davvero bisogno di questa regola o era meglio produrre uno sforzo culturale di educazione allo sport e accettazione dei suoi contenuti, inclusi errori e sconfitte, per preservarne forma e valori?


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