GRANDI PARTITE DIMENTICATE: 1980 Hajduk Split 3-2 Hamburger SV
Due squadre
in cerca di un identità europea di alto livello si trovarono di fronte sulla
costa dalmata, in una fredda e ventosa sera di fine inverno, per disputarsi l’accesso alla semifinale di Coppa dei Campioni 1979/80.
L’Amburgo, gigante
tedesco addormentato, si era appena risvegliato. Era l’unica squadra
nella storia del calcio tedesco a non aver mai giocato al di sotto della
massima categoria nazionale, membro fondatore della Bundesliga nel 1963, non
vinceva il campionato dal 1960 quando era ancora frammentato in una miriade di
gironi e fasi; ci riuscì di nuovo nel 1979.
L’elezione
presidenziale del ’73 fu il punto di svolta nella storia del HSV con la
vittoria, a sorpresa, del vulcanico uomo d’affari Peter Krohn che si riproponeva
di riportare il glorioso club anseatico ai vertici del calcio tedesco.
Ebbe in
proposito tutta una serie di trovate, inclusa una divisa rosa per attirare il
pubblico femminile; ma, soprattutto, l’ingaggio del miglior giocatore inglese
del momento, Kevin Keegan nel 1977.
Grazie ai
soldi arrivati dal Giappone per il contratto di sponsorizzazione con i giganti
dell’industria elettronica Hitachi, Krohn riuscì a strappare Keegan alla
concorrenza dei due grandi club spagnoli, che in verità titubarono troppo,
offrendogli uno stipendio dieci volte superiore a quello che percepiva a
Liverpool.
Quando KKK
sbarcò ad Amburgo trovò una squadra che veniva da un biennio vincente,
il titolo di Dutschemeister continuava a sfuggire, ma la squadra, già
rinforzata da Krohn fin dal giorno del suo insediamento, si era aggiudicata la Coppa di Germania
nel 1976 e la Coppa delle Coppe nel 1977.
Lasua prima stagione fu però deludente, si adattò
poco e abbastanza male alla nuova realtà.
Titolare fisso, finì spesso per
essere un freno per la squadra; l’allenatore non riusciva a metterlo nelle
condizioni di esprimersi al meglio e la squadra, nella Bundesliga ‘77/’78 non
andò oltre un deludente decimo posto.
Krohn, che
non era tipo da riflettere troppo sugli eventi, agì d’impulso e licenziò il
tecnico. Al suo posto ingaggiò il santone croato Branko
Zebec, allenatore già vincente, di grandi certezze, metodi spicci talvolta brutali,
e una grande passione per la bottiglia e i contratti molto ben remunerati.
Zebec fece
centro al primo tentativo resuscitando tra l’atro Keegan, protagonista di quella
prima stagione in Germania tutt’altro che convincente. Il club dopo il successo
di tre anni prima cercava ora l’affermazione europea più grande, la Coppa dei
Campioni.
Davanti a
loro, ben decisi a sbarrargli la strada i campioni jugoslavi dell’Hajduk.
Le cose a
Spalato andavano in maniera molto diversa rispetto ad Amburgo, e non poteva
essere altrimenti. La repubblica socialista federativa jugoslava non ammetteva
certo pratiche economiche di tipo occidentale, nonostante l’ultima costituzione
concessa nel ’74. Settore giovanile più qualche buon acquisto dalla vicina Bosnia era la ricetta tipica al
tempo.
A capo
delle operazioni vi era Tomislav Ivic che dal ’73, quando era stato
chiamato a sostituire proprio Zebec, aveva cominciato a plasmare la sua
squadra. Veniva anch'egli dalle giovanili dove aveva personalmente cresciuto parecchi di
quelli che saranno poi i protagonisti di
quel ciclo vincente, gente come Oblak (passato al Bayern), Muzinic, Djordjevic,
Buljan (passato proprio all’Amburgo), Surjak, i gemelli Vujovic, Gudelj. Ora,
dopo due anni all’Ajax, dove aveva sostituito Michels e vinto un campionato, era
tornato nella sua Spalato per completare l’opera.
Ivic era
nato, vissuto e pascolato a Spalato. Aveva lavorato in fabbrica e giocato per
il RNK Spalato, la squadra degli operai e dei portuali, di gran lunga
inferiore ai dirimpettai dell’ Hajduk sia per successi ottenuti che per il valore numerico del seguito, ma dalla forte connotazione identitaria locale.
Il RNK era infatti un simbolo per la comunità dei lavoratori di Spalato il cui attaccamento. Chi vi giocava era un operaio o un portuale così come chi
andava a vederli era un’operaio o un portuale.
Abitavano gli stessi quartieri,
le stesse strade, facevano la stessa vita. I giocatori quando smettevano la
tuta alla fine delle otto ore indossavano scarpe, pantaloncini e maglietta per
allenarsi. Chiaro che il legame e il grado di immedesimazione tra squadra e
sostenitori fosse fortissimo.
Ivic visse
questa vita negli anni ’50, fu uno di quelli che finito il turno in fabbrica
andava ad allenarsi. Quando smise e cominciò ad allenare, sempre al RNK, fece
sua quell’immedesimazione tra fabbrica e squadra che aveva vissuto cercando di
trasfigurarla in campo.
La fabbrica
era un’ unità possente. Vi erano macchinari potenti e precisi e uomini che
faticavano duro e incessantemente, ripetitivamente e con responsabilità sulla
propria individuale mansione per riuscire ad ottenere quello che la fabbrica
chiedeva, il prodotto finale.
La
trasposizione della fabbrica sul campo da calcio si traduceva in preparazione atletica durissima per poter
sopportare ritmi di gara alti o altissimi, posizioni e ruoli ben definiti con
responsabilità ben definite, schemi eseguiti all’infinito per far si che poi in
partita tali meccanismi funzionassero al meglio.
Il prodotto
finale della fabbrica Hajduk era un calcio aggressivo, d’attacco, impostato su
ritmi altissimi. E vincente, almeno in patria.
Aggressione
dell’avversario il più in alto possibile e ribaltamento del fronte d’attacco
immediato, il più verticale possibile in modo da liberare il tiro quando gli
avversari ancora rincorrevano. I ruoli ben definiti e sopportati, al pari della disciplina. I compensi ai calciatori buoni ma non esorbitanti rispetto alla realtà circostante. Lo si potrebbe definire senz'altro un calcio di marcata impronta socialista.
L’Hajduk
Spalato era in quegli anni un autentico squadrone, sicuramente la miglior
squadra jugoslava degli anni ’70/'80, forse la migliore di sempre.
Caratterizzato da uno stile di gioco molto tecnico, stile brasiliano, (jugobrasileri
li definì un caro amico) anche nella struttura tattica, più 4-2-4 che 4-3-3,
abbinato ad una velocità, tenuta atletica e ad una furia agonistica al tempo con pochi eguali in
Europa. Non dimenticando un 5-3-2 che si trasformava in 3-5-2 di assoluta
avanguardia.
I successi
in patria non erano mancati, quattro titoli nazionali nel ’71, ’74, ’75 e ’79 e
cinque coppe di Jugoslavia nel ’72, ’73, ’74, ’76 e ’77 segnarono
indelebilmente il calcio jugoslavo di quella decade, non solo in termini di
risultati, ma anche in forza delle prestazioni offerte.
In Coppa
Campioni però l’Hajudk era fermo ai supplementari di Eindhoven, nei quarti di
finale del 1975/76. In Europa non era in ogni caso
Ivic era convinto che la sua squadra
fosse una delle migliori in Europa, e credeva fermamente di poter vincere la
Coppa dei Campioni.
Ora, davanti
a lui stavano una delle squadre favorite in assoluto e la possibilità di
eliminarli. L’impresa richiesta: rimontare l’ 1-0 subito nella partita di
andata in Germania.
Anche per i
campioni tedeschi i nomi non mancavano: Kaltz, Memering, Magath, Keegan,
Hrubesch, Buljan; l’allenatore, Zebec, un ex. Ne uscì fuori un’autentico
partitone.
Lo stadio
Poljud è pieno imballato, 52.000 gli
spettatori che trascinano la squadra con il loro caratteristico tifo infernale.
L’ Hajduk
batte e si riversa in avanti grande aggressività. C’è grande ritmo, pressing,
ma anche frenesia e raddoppi sul portatore avversario a metacampo con contrasti
ottimamente eseguiti. La frenesia però gioca un brutto scherzo a Primorac che
sbaglia a controllare un lungo rinvio di Kaltz nel tentativo di servire Zoran
Vujovic di fianco a lui. Si inserisce Hrubesch che era scattato in avanti, ruba
palla, supera Primorac che cerca di tirarlo giù e finisce a terra e poi batte
un gran destro che si infila contro il palo a mezz’altezza alla destra del
portiere. 1-0 per gli ospiti, sono passati solo due minuti.
L’Hajduk
riprende , è una squadra compatta, pressa in modo asfissiante e gioca corto. Riconquista
palla con una certa facilità e si catapulta immediatamente in attacco: pochi
tocchi, rapidi e liberare il tiro con quanti meno tocchi possibile; la
possibilità di commettere errori diminuisce, condizione fisica eccellente.
Il pressing
da frutti, i tedeschi faticano a contenere la spinta e commettono falli; c’è
una punizione da trenta metri: tira Surjak, mezzo collo esterno, rasoterra: Kargus
si butta e mette in angolo.
Sul corner
Magath libera, riprende Muzinic che tira subito, Kargus stavolta vola
all’incrocio e sventa; l’entusiasmo e l’incitamento dei tifosi aumentano
d’intensità.
Poi Muzinic
batte una punizione dal limite lato corto, triangolo di testa in velocità Cop-Surjak-Cop
che di nuovo di testa serve Zlatko Vujovic fiondatosi in profondità e appena
dentro l’area fa partire un gran diagonale che batte Kargus e fa 1-1. Boato
tellurico ed entusiasmo alle stelle.
E’ tutto
Hajduk adesso, lo stadio è una bolgia. L’arbitro concede un fallo agli slavi in
fase difensiva, i quali, invasati, neanche si accorgono o si fermano dandosi un
auto-vantaggio e spingono avanti. La palla giunge a Surjak che parte al
galoppo, il pubblico, esaltato, esalta. Surjak serve Djordjevic sull’out
sinistro e poi scatta all’interno. Djordjevic gli chiude il triangolone in
area, Surjak entra palla al piede e punta Kaltz che lo stende: rigore! E’
passato un minuto dal gol.
Kaltz con
calma si porta al centro dell’area dove l’arbitro, fermo come un setter in
‘punta’ indica il dischetto, protesta, e probabilmente ha ragione. Una decina di
fotografi entra in campo per immortalare l’accaduto.
Dal
dischetto va Primorac che si fa parare il rigore, un inizio gara disastroso per
il valente terzino.
E puntuale
arriva uno degli assiomi proverbiali del calcio: gol sbagliato, gol subito. C’è
subito una punizione per l’Amburgo, sul conseguente batti e ribatti di testa la
palla finisce sui piedi di Hieronymus al limite dell’area; Hieronymus controlla
di destro, fa un gran sombrero a Rozic e poi con la palla che scende calcia al
volo di sinistro nell’angolo basso alla destra di Pudar per il 2-1.
Qualificazione
molto difficile adesso, serve sempre una vittoria con due gol di scarto, ma
metà primo tempo se n’è andato.
L’Hajduk non si arrende, Zlatko Vujovic crossa
dall’out di sinistra la palla spiove in area, Kargus smanaccia, accorre Surjak
che sulla respinta del portiere tedesco spara una splendida bordata di collo
che finisce sull’esterno della rete.
Poi, Amburgo
in avanti: cross di Magath, libera la difesa. La palla finisce a Surjak che
lancia sulla sinistra Zlatko Vujovic, contropiede travolgente; esce Kargus che
lo affronta, bene, appena dentro l’area, e lo ferma.
E’ l’ultimo
sussulto di un gran primo tempo.
Ripresa:
Hrubesch perde palla, Djordjevic fila via e crossa, Zlatko Vujovic ci arriva
appena allungando la gamba, blocca Kargus.
Incitamento
del pubblico e forcing dell’Hajduk, un cross di Gudelj è deviato in corner. Lo
va a battere Surjak: spiovente sul secondo palo dove salta Djordjevic che di
testa infila in rete, vana la rovesciata
sulla linea di Hidien, è 2-2; boato fenomenale.
E’ solo il
4’ del secondo tempo: si può fare. L’ Hajduk va in forcing, la difesa
dell’Amburgo spazza lontano senza tanti complimenti. Su un’altra azione insistita
dei padroni di casa, oltre l’ora di gioco, Kaltz fatica a liberare, tre
giocatori jugoslavi sono appostati appena fuori area pronti ad aggredire,
recupera palla Muzinic che crossa, respinta di testa, raccoglie Surjak in
posizione centrale, questi serve a destra per Krisitevic che tira in corsa,
palla sulla schiena di Hidien e in calcio d’angolo. Bell’assalto non c’è che
dire, tedeschi sulla difensiva.
Quindi
Surjak si invola palla al piede, supera la linea mediana e si allunga troppo la
palla, entra Memering in scivolata. E anche Surjak, che riconquista il
possesso, si rialza e serve Djordjevic che sprinta largo a sinistra, Kaltz lo
chiude in recupero. Sull’angolo che ne consegue i difensori tedeschi chiedono a
quelli davanti di tornare a dar man forte; angolo battuto sul secondo palo,
saltano in tre dell’Hajduk ostacolandosi forse un po a vicenda, colpisce Primorac
che mette di poco fuori. Surjak che era infatti messo meglio dietro di lui si
dispera col compagno, la folla incita instancabile.
Imposta
adesso Kristievic, bel lancio in profondità per Surjak, appostato al limite
dell’area, che appoggia al centro , nn c’è nessuno dei suoi. La prende Hartwig
che appoggia per Kaltz, ma sopraggiunge Djordjevic che intercetta il passaggio e tira in corsa,
alto.
C’è una
strepitosa fucilata di Kristicevic da trentacinque metri che va dritta
all’incrocio: Kargus si butta e devia spettacolarmente sopra la traversa.
Ancora
Hajduk che conquista palla a centrocampo, Salov evita un paio di avversari e
serve in profondità Surjak che controlla in corsa dribblandosi un avversario,
scatta verso il fondo e crossa, Kargus blocca in presa alta. Il portiere
tedesco serve Keegan con le mani fuori area, l’inglese, che non ha ancora visto
palla, dorme; sopraggiunge Zoran Vujovic che gli soffia la sfera e serve il
fratello in area sul quale esce Kargus alla disperata. Che Hajduk!
Altro angolo
per i padroni di casa, batte Djordjevic, Kargus non la prende, il pallone lo
supera ma nessuno dei due giocatori jugoslavi dietro di lui riesce a toccarla
quel tanto che basta per spingerla dentro. Poi un altro tiro di Surjak esce di
un paio di metri alla destra di Kargus.
Quindi Nogly
batte lungo una punizione per alleggerire la pressione ma la palla torna subito
nella sua metacampo. Recupera Kaltz che però la perde, gliela soffia Surjak al
limite che da dentro. Il tiro in corsa supera Kargus in uscita ma un difensore
tedesco spazza a due metri dalla linea.
Incontenibili
i giocatori di casa: Salov controlla sfugge a un paio di trattenute , poi alla
terza l’arbitro fischia una punizione. Sullo spiovente Primorac a centro area salta
splendidamente e con un gran colpo di testa batte Kargus, 3-2. Cinque minuti e un gol per andare in
semifinale.
Ultime fasi
concitate, i giocatori di casa, stanchi, perdono lucidità; l’Amburgo compie un
paio di sortite di alleggerimento. Ivic in panchina si dispera.
Ultimo assalto: punizione di Maricic per Salov
che dal limite tira in porta ma centra Surjak sulla schiena, sul rimpallo ne
esce un altro angolo. Probabilmente l’ultimo.
Dalla
bandierina va Maricic, Ivic arriva fino a lì per dargli indicazioni sul come
battere e incitare quelli in mezzo; ma come spesso accade in questi frangenti
Maricic sbaglia il corner, che è corto, un difensore tedesco spazza lontano e l‘arbitro
fischia la fine.
Peccato,
meritavano. Il rigore sbagliato da Primorac pesa come un macigno. E, forse,
quel 4-2-4 si prestava troppo facilmente a scoprire il fianco quando si va a
tutta birra. Ma un grande Hajduk.
Il pubblico,
compattissimo saluta i propri beniamini con cori entusiasti e gran sventolare
di bandiere, uno spettacolo.
Grande
partita, il tipo di partite che si giocavano al tempo, quando gli incontri di
questo livello erano degli avvenimenti, confronti tra diverse scuole
calcistiche; ricchi di contenuti tecnici, atletici, persino ideologici, e anche
squadre come l’Hajduk Spalato arrivavano
a giocarle. Calcio europeo al suo meglio.
L’Amburgo
andrà in finale, dopo aver superato il Real Madrid in semifinale grazie ad una
strepitosa rimonta, dove sarà sconfitto dall’ ultra-pragmatico Nottingham
Forest.
Spalato, Stadio Poljud
- 19 marzo 1980
COPPA DEI CAMPIONI – Quarti di Finale – Ritorno
Hajduk Spalato 3-2 Hamburger SV
NK Hajduk (4-2-4): Pudar; Rozic, Zoran Vujovic, Primorac, Krstievic;
Muzinic, Gudelj (62’ Salov); Šurjak, Djordjevic, Zlatko Vujovic, Čop (62’
Maricic).
All. Tomislav Ivic
Hamburger
SV (4-3-3): Kargus; Buljan, Kaltz, Hidien, Hieronymus (62’ Nogly); Hartwig, Memering,
Magath; Keegan, Hrubesch, Milewski.
All. Branko Zebec
NOTE
Marcatori: 2’ Hrubesch (HSV), 21’ Zl.
Vujovic (Haj), 24’ Hieronymus (HSV), 49’ Djordjevic (Haj), 85’ Primorac (Haj)
Arbitro: E. Dörflinger (Svizzera)
Spettatori: 52.000
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