SPORT E RAZZISMO: IL CASO D'OLIVEIRA
La recente tragedia che è costata la vita al povero George Floyd nelle strade di Minneapolis ha scatenato un onda di indignazione mondiale che non ha, giustamente, risparmiato il mondo dello sport; mondo che ha dovuto fare, e tuttora fa, i conti a sua volta e da lungo tempo con il razzismo.
Ma se le campagne di indignazione odierne, veicolate a velocità supersoniche da mezzi di comunicazione di massa ad effetto immediato, portano ad azioni collettive globalizzate nel giro di qualche ora, ci fu un tempo in cui battaglie di questo genere sono state combattute da persone singole con le sole armi della dignità, della fermezza e della caparbietà.
Quando, a fine agosto 1968, il comitato dei selezionatori
divulgò le convocazioni per la nazionale inglese di cricket che si sarebbe
recata in tour in Sud Africa nell’inverno successivo, un’ ondata di
indignazione scosse il paese dalle fondamenta.
Lunghi mesi di mezze ammissioni,
mezze bugie, grosse bugie, rassicurazioni di facciata e trame dietro le quinte culminarono
nell’esclusione di Basil D’Oliveira dal tour, un’esclusione che in tanti forse
si aspettavano ma che nessuno davvero aveva creduto possibile.
Cosa scatenò questa reazione nel pubblico inglese?
Basil D’Oliveira era nato a Città del Capo da una famiglia di origini
indiano-portoghesi che, al tempo, lo definiva razzialmente come Cape coloured.
Matto per il cricket fin
da bambino cominciò per strada quando ancora per i non bianchi giocare sulla
pubblica via era proibito pena l’arresto. Il padre lo iscrisse quindi al proprio club
dove Basil cominciò a giocare seriamente
e a mettersi in luce.
Diventò uno dei giocatori non-bianchi più promettenti, ma
gli fu presto chiaro che il regime razzista sudafricano gli avrebbe sbarrato la
strada verso i massimi livelli: il cricket, così come il rugby, e tutto il resto,
al massimo livello, era riservato ai bianchi.
Lui comunque era deciso a riuscire e non si perse d’animo.
Si fece coraggio e scrisse a John Arlott in Inghilterra spigando il suo caso e
quanto fosse deciso a diventare un giocatore professionista.
John Arlott è stato il più grande commentatore e scrittore
di cricket che la storia ricordi,. Poeta mancato, dotato di uno stile
inimitabile che suscitava ammirazione tra il pubblico e invidia tra i colleghi, era a quel tempo, fine anni 50, un’autorità. Fu anche giornalista del
Guardian e soprattutto, riguardo la richiesta d’aiuto di D’Oliveira, un forte
oppositore dell’apartheid.
Il Sud Africa era il posto preferito per i privilegiati del
MCC dove andare in tour.
Clima perfetto, ospitalità favolosa da parte della
comunità bianca, nei quali circoli venivano introdotti ed ospitati con massimo
sfarzo, avversari di grande livello ma senza l’antipatica aggressività degli
australiani. Il sentimento era ovviamente ricambiato.
Arlott c’era stato al seguito del tour del 1948/49, aveva goduto di quella splendida
ospitalità, ma aveva assistito, inorridito, al pestaggio di un uomo di colore
per strada, apparentemente senza motivo.
Sgomento, trovò molto difficile
rientrare in quelle sfarzose case e continuare ad essere ospite di chi viveva
così agiatamente e permetteva che si verificassero tali orrori.
Chiese di
essere portato a visitare alcune township dove viveva la gente di colore: rimase
sconvolto. Nel 1950 condannò apertamente il regime sudafricano durante una
radiocronaca della BBC e in seguito si rifiutò di commentare partite in cui
giocava il Sud Africa.
Raccolse quindi l’appello di D’Oliveira e cominciò con lui una
corrispondenza epistolare, dichiarando il proprio impegno e di aver preso a
cuore il suo caso.
Sfortunatamente però ogni missiva dall’Inghilterra si
chiudeva sempre allo stesso modo: Arlott si diceva tremendamente spiaciuto ma
ancora non era riuscito a trovargli una squadra.
E in effetti era difficile
convincere qualcuno ad ingaggiare un giocatore sudafricano sconosciuto, non più
giovane, le cui medie in battuta e al lancio, benché di tutto rispetto, non
potevano essere verificate; che non aveva mai giocato first-class cricket, non
per colpa sua ovviamente e completamente digiuno di esperienza sugli umidi
wickets inglesi.
Dopo quasi tre anni di tentativi finalmente, grazie
all’aiuto del collega John Kay, Arlott scrisse a D’Oliveira che c’era un
contratto per lui con il Middleton Cricket Club che faceva la Central
Lancashire League, ingaggio 450 sterline a stagione, buono. Entusiasta,
D’Oliveira accettò.
L’entusiasmo si smorzò non appena scoprì che il viaggio
aereo per l’Inghilterra ne sarebbe costate 200.
La comunità nera di Signal Hill, nella quale era nato e viveva, si mobilitò per raccogliere i fondi necessari a coprire il costo del viaggio.
Parecchi però non aiutarono, protestando che il ragazzo non sapesse stare al proprio
posto e ironicamente fu fondamentale l’aiuto di Gerald Innes, un giocatore
bianco, ex-nazionale, che riuscì ad aggirare le leggi dell’apartheid e
organizzare una partita con la quale raccolse £150 che pagarono il viaggio
quasi per intero.
L’arrivo in Inghilterra fu traumatico, forse più in positivo
che in negativo:
Al suo arrivo ad Heathrow scoprì, dopo averla cercata a lungo,
che non esisteva l’uscita riservata ai non-bianchi.
Fu inoltre sorpreso dal
trattamento riservato in Inghilterra alla gente di colore, normale, pur se con
le limitazioni dell’epoca.
In particolare, ricordando i tempi del suo arrivo,
non mancò mai di sottolineare come, non
solo poteva entrare in qualsiasi ristorante o locale frequentato da bianchi, ma addirittura sedersi al tavolo
con loro, parlarci e venir servito da camerieri bianchi!
In campo le cose si misero subito bene. D’Oliveira era un bel giocatore, segnò 3.770 runs per il Middleton CC in 157 partite con una media di
24,96, non eccezionale ma buona. Si distinse anche al lancio e dopo quattro
stagioni, nel 1964, arrivò finalmente la chiamata del Worcestershire County
Cricket Club, una delle 20 squadre del campionato inglese.
Nello stesso anno
chiese, ed ottenne, la cittadinanza britannica. Basil si impose anche al
massimo livello, e nel 1966 alla bella età di 35 anni arrivò la chiamata
dell’Inghilterra. C’era riuscito!
Un ragazzo, ormai adulto, di colore dai sobborghi di Città
del Capo era riuscito ad arrivare al massimo livello nel cricket, non nel
nativo Sud Africa bloccato dall’ apartheid ma nella patria di adozione.
Debuttò nel 2° Test contro le West Indies, un buon debutto:
27 in battuta e 1-24 e 1-46 al lancio.
Nel 3° Test andò meglio: 76 e 54 in battuta e 2-51 e 2-77 al
lancio, che non evitarono però la sconfitta.
Fu convocato anche per il 4° test
dove segnò 88 not-out vendendo cara la pelle, cosa che non fu sufficiente ad evitare
una sconfitta catastrofica per un innings e 55 runs. Un’escalation.
Escalation che continuò nel 1967 contro India, dove mise a
segno il suo primo century in Test Cricket (109), e Pakistan.
Convocato per il
tour invernale delle West Indies, le cose non andarono bene, i Sudafricani, che
lo tenevano d’occhio speravano che il brutto momento continuasse .
Il primo ministro
Vorster era ad ogni modo convinto che gli inglesi lo avrebbero comunque convocato
per il tour del 1968/69 ed era fermamente intenzionato a non autorizzare
l’ingresso nel paese di D’Oliveira e di una squadra che non fosse costituita
esclusivamente da bianchi.
L’MCC , nonostante fosse imbottito di membri dell’Estabilishment
britannico, evitava di prendere posizioni politiche, suo unico interesse era il
cricket e, in virtù di questo, voleva il che il tour procedesse.
Tanti però a
St. John’s Wood sapevano che ci sarebbero stati problemi, inoltre si volevano
mantenere i tradizionali rapporti con gli amici sudafricani, risalenti
all’epoca pre-apartheid. Il Club si trovò quindi in una situazione quanto mai
scomoda.
Dopo aver inviato una lettera alla federazione sudafricana sulla
questione, che non ebbe risposta, incaricò quello che era al tempo uno dei suoi
membri più autorevoli a trovare una soluzione diplomatica alla questione.
Sir Alec Douglas-Home, già Primo Ministro e Ministro degli
Esteri conservatore e ora Ministro degli Esteri del governo ombra, aveva appena
terminato il suo mandato di Presidente del MCC e acconsentì ad incontrare
Vorster durante una visita di stato in Rhodesia e Sud Africa. Ne nacque un
pastrocchio madornale.
Durante il suo incontro con Vorster, Douglas-Home discusse
della questione D’Oliveira, ma non riuscì a strappare al primo ministro
sudafricano una risposta affermativa.
La risposta, alquanto ambigua fu di non
chiedere esplicitamente se D’Oliveira potesse o no andare in Sud Africa con
l’MCC , ma che probabilmente il governo sudafricano non avrebbe protestato.
Al
suo ritorno in Inghilterra, Sir Alec, rassicurò l’MCC di aver discusso la
questione, pregandoli di non creare un problema che per il momento non esisteva. Poi però, la
risposta alla lettera inviata alla federazione sudafricana arrivò.
Fu consegnata,
subdolamente a mano, da Jack Cheetham, ex-capitano sudafricano e ora
vice-presidente federale a Gubby Allen potentissimo tesoriere del MCC, ex
presidente del Club, ex capitano dell’Inghilterra e suo vecchio amico.
Allen
mostrò la lettera al segretario del MCC Billy Griffith. Il contenuto non
lasciava dubbi: “non ci sarà nessun tour con D’Oliveira in squadra”.
I due non
informarono il consiglio direttivo del club, per paura di svelare le reali
intenzioni di Vorster e che il tour venisse cancellato, quindi congedarono Cheetham
dicendogli che l’MCC avrebbe fatto tutto il possibile affinchè il tour si
sarebbe svolto.
Ignorando tutto questo, il Consiglio Direttivo del MCC si
ritenne soddisfatto e fece scivolare la questione sotto coperta mentre la
stagione 1968 prendeva il via e per la quale alcuni all’interno del MCC, tra cui Allen
e Griffith, speravano che il calo di forma di D’Oliveira continuasse dimodochè una non convocazione sulla base dei risultati stagionali sarebbe stata
inoppugnabile e nessuno avrebbe avuto niente da ridire sui risvolti razzisti della faccenda.
Le trame sudafricane continuarono e poco dopo Vorster riuscì
a contattare un membro del Consiglio del MCC, Lord Cobham, cui svelò le sue
reali intenzioni.
Anche Cobham voleva che il tour procedesse e, sapendo che il
Consiglio avrebbe votato contro il tour senza D’Oliveira, ne informò solamente
un membro, la cui identità non fu mai svelata (Gubby Allen?), tramite lettera
privata.
Erano quindi in quattro adesso a sapere: Cobham, Allen, Griffith più il
Presidente del MCC Gilligan.
Intanto la stagione entrava nel vivo e dai primi di giugno gli australiani erano
in Inghilterra con gli Ashes da mettere in palio su una serie di cinque Test
Match.
Giunti a fine agosto, dopo quattro test, gli ospiti erano in vantaggio
1-0. D’Oliveira aveva giocato il primo, nonostante il suo 87 not-out nel
secondo innings, non fu più chiamato per i test successivi.
- Deludente al
lancio - dissero i selezionatori., - Cercano la scusa per non portarlo in Sud
Africa - ribatterono i maligni.
Ora però con solo la vittoria a disposizione per
riuscire a pareggiare la serie, i selezionatori lo richiamarono.
Il quinto Test cominciò la mattina del 22 agosto,
l’Inghilterra vinse il toss ed entrò in battuta.
Le cose andarono discretamente
fino al pomeriggio quando, dopo l’eliminazione di Graveney, toccò a D’Oliveira scendere
in battuta con il punteggio attestato a 238-4 e la partita in delicato
equilibrio.
Il nostro si trovava dunque a dover battere al meglio, senza poter commettere errori, e a dover segnare molti punti per traghettare l’Inghilterra
in una posizione ideale per cercare la vittoria.
L’inizio fu lento, tesissimo,
la pressione sulle sue spalle enorme. Al termine del primo giorno, comunque,
D’Oliveira era ancora dentro; il suo punteggio 23. ottenuto in maniera assai
prudente.
Il mattino seguente cominciò ancora prudentemente, rischiò
di essere eliminato a 31, ma il keeper australiano mancò un catch facilissimo.
Lo
spavento lo scosse, si mise a giocare in modo più sciolto e raggiunse quota 50
(‘well played - gli disse l’arbitro - questa tua prova causerà parecchi
problemi’).
Proseguirà raggiungendo i 100, prima di essere eliminato per 158, un
punteggio individuale straordinario, indirizzando il Test verso la vittoria
inglese.
La sua uscita dal campo fu salutata da una standing ovation lunghissima.
A detta di molti si trattò di uno dei più grandi innings mai giocati fino ad allora, considerando la situazione della partita e l’incredibile pressione esterna al quale il giocatore era sottoposto.
L’Inghilterra vinse, al lancio di D’Oliveira non fu un granchè ma nessuno
nutriva dubbi ormai, vista la prestazione in battuta, sulla sua convocazione per il tour in Sud Africa.
Qualcuno però stava osservando. Vorster aveva un emissario
presente all’Oval che contattò il presidente del Surrey CCC, nel cui campo si
stava giocando il Test e molto vicino a due dei sei selezionatori inglesi, dicendogli chiaramente che se, sulla base della prestazione di oggi D’Oliveira
sarà convocato il Tour verrà cancellato dalle autorità sudafricane.
A fine
partita Doug Insole, presidente dei selezionatori inglesi e probabilmente una
delle due talpe di Vorster all’interno del MCC , chiese a D’Oliveira, con
l’intento di scoraggiarlo, se sarebbe stato disponibile ad andare in Sud Africa quell’inverno,
la stessa cosa fece Colin Cowdrey, suo capitano, il quale mise l’attenzione sulla
pressione che si sarebbe trovato fronteggiare.
Basil rispose si ad entrambi, e se
ne andò con la convinzione che sarebbe stato sicuramente convocato.
Il pomeriggio del 27 agosto, dopo una riunione fiume di sei
ore, i selezionatori inglesi diramarono le convocazioni per il Tour del Sud
Africa dell’inverno 1968/69: il nome più atteso, Basil D’Oliveira, non c’era.
La giustificazione fu che la scelta era stata fatta
considerando solo il cricket e che, nell’ultimo anno, D’Oliveira era andato male
al lancio e che quindi il posto di all-rounder (cioè uno che lancia e batte
bene), andava a Ken Barrington. In pochi ci cedettero..
La riunione del comitato dei selezionatori fu però anomala
per non dir strana, molto strana.
Erano
presenti almeno dieci persone, se non dodici, invece dei soli sei selezionatori
più eventualmente il Presidente del MCC, due dei quali: Insole e Griffith
probabilmente talpe di Vorster ben decise a mettere pressione sulla non
convocazione. Ma soprattutto Gubby Allen che, sebbene non simpatizzasse
apertamente per l’apartheid,non fece mistero che vedeva D’Oliveira come un
ostacolo al tour, cosa che gli interessava più di ogni altra. I verbali
dell’assemblea presentano omissis in vari punti.
L’Inghilterra, sportiva e non, fu travolta da un ondata di
indignazione.
L’opinione pubblica si divise: da un lato, in minoranza, chi giustificava l’omissione
accettando il verdetto sportivo; dall’altra i più che accusavano apertamente
l’MCC di condividere la politica razzista di Vorster e del suo paese.
Ci fu una spaccatura anche all’interno del MCC dove il
Reverendo D.S. Sheppard, ex-capitano inglese e arcivescovo di Woolwich, insieme
ad altri 70 firmò una petizione con cui chiese al MCC di cancellare il tour.
Nel giro delle settimane successive, parecchi soci del MCC diedero le
dimissioni dal club che ricevette migliaia di lettere di protesta.
Altri
scrissero al Primo Ministro chiedendo la cancellazione del tour che secondo
loro avrebbe sottinteso l’approvazione dell’apartheid da parte del MCC e di tutto
l’Estabilishment britannico, governo incluso. Un putiferio.
I bianchi sudafricani ricevettero la notizia con giubilo e
festeggiarono.
Ma nella vita, si sa, le sorprese sono sempre dietro
l’angolo e il 14 settembre Tom Cartwright, uno dei nazionali, rinunciò al tour
causa un infortunio alla caviglia che lo perseguitava da mesi e che adesso
peggiorava.
L’MCC non perse tempo e per gettare acqua sul fuoco convocò immediatamente
al suo posto D’Oliveira. Si scatenarono nuove polemiche, questa volta da parte
di chi vedeva l’accaduto come una contromanovra politica pilotata dal governo
britannico per riparare al torto precedente. Cosa che poteva aver senso visto
che D’Oliveira era stato dapprima bocciato come lanciatore e ora veniva incluso
al posto di un lanciatore. Lui era contento ma sapeva che probabilmente
non ci sarebbe stato nessun tour.
Vorster all’altro capo del mondo lanciò tuoni e fulmini
contro l’MCC accusandolo di opportunismo politico. Dichiarò che alla squadra
inglese era la squadra del partito anti-apartheid e che le sarebbe stato negato
l’ingresso nel paese e cancellò il tour.
Gli inglesi risposero che i razzisti sudafricani si
assumevano la responsabilità della scelta.
Il presidente e il vice della federazione sudafricana volarono
segretamente a Londra. tennero una riunione top secret in cui tentarono di
rimediare la situazione, ma l’MCC questa volta fu inflessibile e i due
dichiararono alla fine che il tour era da ritenersi cancellato
per motivi fuori dal controllo della federazione sudafricana che doveva per
forza sottostare alle leggi dell’apartheid.
L’MCC rimediò un’accordo all’ultimo minuto per un tour in
Pakistan dove D’Oliveira giocò egregiamente.
Nel frattempo il cerchio si chiudeva inesorabilmente intorno
allo sport sudafricano.
Il tour degli springboks in Gran Bretagna del 1969 fu
accompagnato da enormi manifestazioni anti-apartheid e incidenti, mentre quello della squadra di cricket programmato per il 1970 fu cancellato dal MCC
dietro pressioni del governo di Westminster.
Violente manifestazioni accolsero gli springboks anche in
Australia, dove si arrivò allo stato di emergenza dichiarato per la partita di
Brisbane. Le autorità australiane cancellarono il cricket tour dei sudafricani
in programma sei mesi dopo.
D’Oliveira con la sua modestia di persona semplice ma ben
decisa a non cedere davanti al sopruso aprì gli occhi al grande pubblico sulle
nefandezze dell’apartheid. Pubblico che, insieme all’ etabilishment britannico
era portato tendenzialmente a simpatizzare superficialmente con i bianchi
sudafricani.
Da quel settembre 1968 le cose cambiarono drasticamente e grazie
all’isolamento totale del cricket al Sud Africa, che coinvolgeva direttamente
il governo britannico, piuttosto potente nell’ambito del Commonwealth,
l’isolamento, non solo sportivo, del paese si strinse via via fino ad arrivare
al crollo del regime segregazionista e alla liberazione di Mandela, anch’egli
una vittima di Vorster.
Il cricket giocò in questo un ruolo decisivo.
Quando verso la fine degli anni 90 Mandela incontrò
D’Oliveira che era in Sud Africa, ora un paese libero, per allenare squadre di
ragazzi di colore che si affacciavano per la prima volta ad un cricket aperto a
tutti lo ringraziò dicendogli “Grazie per essere venuto Basil. Il tuo ruolo è
stato molto importante. Hai fatto il tuo pezzo, ora puoi tornare a casa”,
Soddisfazioni. Anche quando per passare all’incasso bisogna
aspettare una vita intera.
Dal 2004, la serie di Test Match tra Inghilterra e Sud
Africa si disputa per il Basil D’Oliveira Trophy.
L’anno dopo fu insignito del
CBE.
Non credo che Douglas Insole potesse essere una delle gole profonde di Vorster. Era stato un buon giocatore per Essex e semplicemente amava il Cricket old-style. Una volta che si trovò in mano la patata bollente la gestì con grande diplomazia. Ovviamente con la rinuncia di Cartwright non poté più nascondersi dietro a un dito.
RispondiEliminaBeh, forse non la talpa, comunque un contatto indiretto. Per quel che ho potuto capire documentandomi ad ogni modo la firma sull' esclusione di D'Olivera fu quella di Allen.
RispondiElimina