L’ INDIA E LA COPPA DELL’ ASIA MERIDIONALE



In tempi di globalizzazione, unificazione di tornei su vasta scala, e allargamento a dismisura di mondiali ed europei, come mai federazione asiatica e FIFA consentono e riconoscono ufficialmente lo svolgimento di un torneo del genere? 

A quanto pare in Asia fanno un po tutti quello che vogliono e, a partire dal 1984, la federazione asiatica ha man mano autorizzato la formazione di federazioni sub continentali con avvallo FIFA. O magari le federazioni coinvolte si sono autodeterminate visto che nella competizione maggiore, la Coppa d’Asia, non fanno mai strada? Può darsi, nelle passate diciassette edizioni, solo una volta una delle partecipanti alla Coppa dell’Asia Meridionale è finita tra le prime quattro: l’India nel 1964 fu seconda. 

Comunque sia, nel 1997 le federazioni di India, Pakistan, Sri Lanka, Bangladesh, Nepal, Maldive fondarono così la South Asian Football Federation mantenendo l’affiliazione alla federazione asiatica principale. Il Bhutan si aggregò nel 2000 e l’ Aghanistan dal 2005, ma lasciò poi nel 2015. Oggi le sub-divisioni , a connotazione geografica, della Federazione asiatica sono cinque. Considerando però la data di nascita di queste sub-federazioni a cavallo del nuovo millennio, ci sarebbe da credere di più a cose tipo ‘sviluppo del prodotto calcio regionalizzato con obiettivo principale l’ottimizzazione dei proventi, in special modo i diritti tv.’ Non mi addentro oltre, non mi interessa. 

Le squadre convenute nella SAFF diedero quindi vita alla South Asian Federation Cup utilizzando un torneo che già si disputava tra le medesime squadre fin dal 1993, la South Asian Association of Regional Cooperation Gold Cup. La prima edizione fu disputata a Lahore in una settimana. Quattro partecipanti in un girone unico all’italiana, partite di sola andata. Vinse l’India. Questo l’ Albo d’Oro della competizione: 

1993 India 7pt; Sri Lanka 4pt 

1995 Sri Lanka 1-0 India 

1997 India 5-1 Maldive 

1999 India 2-0 Bangladesh 

2003 Bangladesh 1-1 (5-3 rig.) Maldive 

2005 India 2-0 Bangladesh 

2008 Maldive 1-0 India 

2009 India 0-0 (5-3 rig.) Maldive 

2011 India 4-0 Afghanistan 

2013 Afghanistan 2-0 India 

2015 India 2-1 dts Afghanistan 

2018 Maldive 2-1 India 

Di rilievo il dominio indiano, ma anche la forza delle Maldive. Due estremi: da una parte un paese con un miliardo e duecento milioni di abitanti e una superficie di circa undici volte l’Italia; dall’altra un altro formato da un piccolo arcipelago corallino con una superficie di 300 kmq, poco più della Provincia di Trieste, con una popolazione di poco inferiore alle 400mila unità, la stessa di Bologna. 

Per quanto riguarda le Maldive ci può anche stare, probabilmente giocano tanto, giocano in tanti e sono abbastanza bravi. L’ Uruguay, ad, altri livelli, insegna. 

INDIA: GIGANTE ADDORMENTATO O INDIFFERENTE? 
Quello che sembra essere più interessante, se proprio ci si vuol far del male, è chiedersi come mai l’India non abbia mai espresso una squadra, un movimento calcistico o anche solo qualche calciatore all’altezza delle proprie dimensioni o almeno di un certo livello. 

Albori 
Si gioca a calcio, in India, da prima che un pallone rotolasse in Italia, l’origine è la stessa: ce lo portarono gli inglesi. Laggiù l’esercito a differenza di Genova, dove furono i marinai e i lavoratori delle navi carbonifere battenti bandiera di Sua Maestà a introdurre il nuovo gioco. 
Si può già cogliere una differenza negli ambiti in cui il foot-ball germogliò dapprincipio, militare nel subcontinente, perlopiù civile o al massimo legato alla marina mercantile in Italia e nel resto del mondo fuori dall’ Impero. Questo influì inizialmente sulla diffusione e lo sviluppo del gioco che, in India, rimase per lungo tempo appannaggio di circoli ristretti e chiusi. Il che non vuol dire che non avesse comunque guadagnato una certa popolarità tra i locali che sicuramente lo videro giocare da subito. 
Il primo torneo calcistico disputato in India fu la Durand Cup nel 1888, dieci anni prima del nostro primo campionato, lo stesso anno in cui prese il via il campionato inglese. E’ la quarta competizione di coppa più vecchia al mondo, dopo quelle di Inghilterra, Scozia e Galles; la più vecchia in Asia. La sua storia può essere considerata un po lo specchio di ciò che il calcio è stato in India fino ad un certo punto, diciamo fine millennio. 
Istituita dall’allora Ministro degli Esteri dell’India Sir Mortimer Durand, era riservata inizialmente ai vari reggimenti dell’esercito britannico di stanza in India. 
Si giocava ogni anno nello stesso posto e quando fu poi allargata anche ai reparti delle forze armate indiane, la fase finale continuò a disputarsi a Simla una località dove gli inglesi avevano costruito un sanatorio nel quale Durand era convalescente quando istituì il trofeo. Questo fino al 1938, quando fu interrotta dallo scoppio del secondo conflitto mondiale. 
Fu ripresa nel ’40 e trasferita a Nuova Delhi quindi interrotta di nuovo. Quell’anno vinse il Mohammedan Sporting Club, primo club indiano e non militare a riuscirci. Fino a quel momento i vincitori erano stati unicamente reparti dell’esercito britannico. 
Riprese poi nel ’50, dopo l’indipendenza. Passò sotto l’egida dell’esercito indiano che ne ha mantenuto il controllo organizzativo e amministrativo fino al 2006. Si disputa ancora e, sebbene possa essere in qualche modo considerata l’equivalente indiano della FA Cup inglese, il torneo non è mai veramente uscito dal guscio entro il quale nacque e si sviluppò. Non ha mai costituito perciò il mezzo per ottenere proselitismo calcistico presso le masse. 

Perché le masse in India non contavano. Mentre i militari si divertivano col loro torneo , nel 1893 a Calcutta vedeva la luce la Indian Football Association. 
Approssimativamente si calcola che fossero 200.000 i sudditi di Sua Maestà residenti nell’allora capitale dell’ India Britannica Una presenza notevole che , oltre agli ovvi motivi economici e politici che ne giustificavano (per così dire) la presenza, comportava l ‘inevitabile fondazione di tutti quei soggetti che caratterizzavano la vita sociale britannica dell’epoca, inclusi gli sport club. 
Qui in particolare, fin dal 1877, un ragazzo di nome Nagendra Prasad Sarbadhikari , studente alla Hare School, cominciò a diffondere il suo entusiasmo per il gioco del calcio, trasmessogli da soldati britannici, tra i compagni di scuola. 
Gli insegnanti europei incoraggiarono il ragazzo e gli altri studenti alla pratica sportiva e il Boys Club, da loro fondato all’interno della scuola, è considerato il primo tentativo riuscito di formazione calcistica composta da indiani. 
Sempre a Calcutta, tre delle famiglie aristocratiche più in vista del Bengala fondarono nel 1889 il Mohun Bagan Athletic Club, la più antica squadra di calcio di tutta l’Asia, una delle più vincenti del paese. 
E’ più vecchio del Genoa, e anche del Liverpool. Nagendra Prasad ne fu poi capitano e può considerarsi a tutti gli effetti il padre del calcio indiano, più di Durand, che era scozzese e non aveva praticamente mai giocato. 

Nel 1890, sempre a Calcutta prese il via la Rovers Cup. Il torneo, che fu molto importante fino agli anni ’80, venne abolito nel 2001 causa congestione nel calendario. 
Nel 1891 fu fondato il Mohammedan Sporting Club ad opera di alcuni degli esponenti più in vista della, minoritaria, comunità musulmana della città che rivaleggerà a lungo con il Mohun Bagan. 
Ciò che sembra essere una costante nel mondo della pedata indiana è senz’altro il rango dei fondatori e dei soci appartenenti ai club fondati da indigeni. Rango che in virtù della struttura sociale divenne così un elemento essenziale dei club in quanto non era permesso il mescolarsi tra membri di caste diverse e di conseguenza allargare la partecipazione ad essi. Sorsero poi altri club in giro per la città e nel 1893 fu fondata la Indian Football Association . 
Già nel 1898 fu organizzato il primo campionato, la Calcutta Football League. Vinse il 28° Reggimento Fanteria del Gloucestershire, che aggiunse alloro sportivo a quello assai più prestigioso insignito loro dal Duca di Wellington per la valorosa condotta tenuta a Quatre Bras, fondamentale nella vittoria di Waterloo e nella capitolazione definitiva di Napoleone. 

Parentesi Citazione merita anche il Calcutta Football Club nonostante sia stato una squadra di rugby. Fu attivo dal 1872 al 1878, anno in cui il club fu sciolto per gravi divergenze sulla gestione del bar, comprensibile trattandosi di inglesi. 
A questo punto i soci ritirarono gli averi del club dal conto in banca che furono loro liquidati in rupie d’argento. Volendo essi perpetuare il ricordo del CFC fecero fondere le rupie d’argento da un orafo locale che ne creò un trofeo donato poi alla Rugby Football Union inglese, del quale il club era membro, dietro promessa che fosse messa in palio annualmente ad imperitura memoria. 
Prontamente la RFU mise in palio il bellissimo trofeo per l’annuale partita contro la Scozia già dall’anno successivo. 
E’ la Calcutta Cup, per la quale si gioca ancora oggi. Chiusa parentesi. 

Diffusione Come detto, il calcio in India, introdotto dapprima dai colonizzatori, rimase , una volta diffusosi tra la popolazione locale, materia per classi alte. Niente di così strano in realtà, anche a Genova in origine fu così, ma dopo un primo decennio di attività i soci britannici aprirono prima a soci italiani. Questo in India non fu possibile in quanto la società, almeno per l’80% della popolazione di fede induista è divisa in caste. E le caste tra di loro non si possono frequentare o interagire, niente. Compartimenti stagni. Non approfondisco, ma questo è. 
E’ chiaro quindi che la diffusione del gioco dal punto di vista della stratigrafia sociale in India sia stata, almeno fino ad un certo punto, ‘orizzontale’ , diciamo così, invece che verticale come accaduto in Europa, ma anche in Sud America. 
Di conseguenza, almeno fino al 1950, anno dell’abolizione ufficiale delle caste, i club sono rimasti chiusi dal di dentro senza nessuna possibilità di accesso per individui che non appartenessero alla stessa casta. 
A questo si aggiunga la mancanza di una federazione nazionale al quale affiliare i club e che organizzasse competizioni di portata nazionale. La Indian Football Association fondata a Calcutta nel 1893 altro non era che la federazione regionale del Bengala Occidentale e i tornei organizzati rimasero, nonostante alcuni vantassero l’appelativo ‘Indian’, a carattere locale; cittadino nel caso di Calcutta. Altre ne sorsero, ma si dovrà aspettare fino al 1937 per vedere la nascita di una federazione nazionale vera e propria. 
Se ne deduce che, a differenza della società occidentale, britannica in particolare, dove il calcio ha fornito dall’introduzione del professionismo in avanti un occasione di riscatto sociale, in India è sempre rimasto un passatempo per chi poteva permettersi di praticarlo e mantenere così un certo prestigio presso i propri pari rango e i colonizzatori. Questo in virtù del fatto che i giocatori dovevano essere soci dei club e non tesserati, cioè scelti per la squadra in virtù delle loro capacità. 
Una situazione completamente diversa rispetto ai club europei dove la strada seguita, molto diversa fu da quasi subito l’affiliazione a federazioni e tornei nazionali con conseguente intento di essere competitivi ed cercare di avere a disposizione i giocatori migliori.
Motivo principale per il quale in Europa le barriere sociali all’interno dei football club caddero praticamente da subito, o non furono mai presenti. Non India, dove si è sempre giocato solo con l’unico merito di essere soci di un club.
Questo spiega perché, fino ad un certo punto il calcio sia stato lo sport più popolare: non erano poi cosi in molti gli appassionati di sport . 
Ad ogni modo, le competizioni a Calcutta crebbero velocemente in popolarità, aiutate dalla massiccia e decisiva presenza britannica, dilagando un po ovunque. 
Un primo tentativo di formare una rappresentativa dell’India fu fatto già al 1924, una selezione mista composta da britannici residenti a Calcutta e indiani. Non ci sono certezze, ma si può accettare che la prima squadra che si possa chiamare India è quella che andò a Ceylon nel 1933 e vinse 1-0. L’anno dopo a Calcutta fu invitata la Cina, l’incontro finì pari, 1-1. 
Il successo di queste rappresentative accelerò i tempi e nel 1937 fu formata la All Indian Football Federation che unirà sotto di se le sei federazioni regionali allora esistenti, tra cui la potente IAF, che ad ogni modo fino ad allora era iscritta alla Football Association inglese. Di fatto un comitato regionale distaccato nel Bengala. 
La AIFF cominciò a prendere sul serio la formazione di una squadra nazionale che rappresentasse qualcosa in più che non fosse la sola Calcutta. Un primo team fu inviato in tour in Australia dove raccolse successo sia in termini di risultati che di popolarità presso il pubblico. 

Barefoot, really? 

La pietra angolare dal calcio Indiano rimane senz’altro l’Olimpiade londinese del’ 48. Fu il primo torneo di rilevanza internazionale al quale partecipò e non mancò di stupire immediatamente. 
Elogiati per la prestazione offerta un po da tutti, lasciarono il segno nel torneo per un’ altro motivo. Sorteggiati nell’incontro degli ottavi di finale contro la Francia, i giocatori indiani si presentarono sul campo di Lynn Road a Ilford scalzi. 
Questo particolare provoca un grattacapo retrospettivo bello grosso in quanto a questo punto bisogna chiedersi come, fino ad allora, si fosse giocato a calcio in India: gli inglesi tra di loro con le scarpe e gli indiani scalzi? E quando si incontravano inglesi ed indiani? E la prima rappresentativa del ’24? Riuscirono a convincere gli inglesi a giocare scalzi, non credo. Viceversa? Non saprei. Metà con le scarpe metà senza? 
E poi, non costituiva uno svantaggio, al di la dell’inghippo regolamentare? A sentir loro e a leggere le cronache dell’epoca sembrerebbe di no. 
La partita con la Francia, terminata con una sconfitta di misura (1-2) si rivelò un trionfo in termini di simpatia per la compagine dai giocatori scalzi. Vennero lodati per il bel gioco dalla stampa sportiva britannica che fece di loro gli indiscussi beniamini di quel torneo. 
La domanda però è: “Sbagliarono due rigori e subirono il gol della sconfitta all’ 89’, magari con le scarpe avrebbero segnato i rigori e vinto. Oppure non c’entra niente e il risultato fu onorevole solo perché i francesi usarono un certo riguardo per cercare di non far male più di tanto gli avversari scalzi?” Pur non essendo tra gli esperti pseudo-analitico-scientifici che infestano il calcio del giorno d’oggi mi chiedo: “che valore si da ad una partita del genere?” 
Si qualificarono quindi anche al mondiale del ’50 in virtù del forfait delle avversarie nelle qualificazioni e poi si ritirarono a loro volta in quanto la FIFA li ammonì a presentarsi in campo indossando scarpe regolamentari, cosa che loro si rifiutarono di fare. Dopo una breve diatriba ufficiale al termine della quale, considerando i giocatori indiani le scarpe un handicap, preferirono non imbarcarsi neanche per il Brasile. Erano stati sorteggiati nel girone dell’Italia. Iniziò qui il periodo d’oro del calcio indiano che si protrarrà fino a decennio successivo inoltrato. 
La popolarità in patria crebbe moltissimo provocando un boom di praticanti e pubblico. 

In un’ottica di valutazione del movimento calcistico indiano e, specificatamente in relazione alla domanda ‘come mai non sono mai stati forti?’, la questione delle scarpe non può essere lasciata andare. Se veramente hanno giocato scalzi, o al massimo con piedi e caviglie bendati fino al 1950, è chiaro che l’evoluzione tecnica, ma anche atletica, del calcio indiano è stata molto diversa da quella del resto del mondo dove i giocatori indossavano scarpe. Come si corre e si rimane in equilibrio scalzi su un prato? La concentrazione sul gesto tecnico rimane invariata quando la preoccupazione principale è restare in equilibrio? Come si calcia sull’erba con il piede d’appoggio scalzo che tende a scivolare in avanti? La forza impressa è uguale? Come si salta? Come si gioca una partita a piedi nudi contro giocatori che indossano scarpe con tacchetti? Contrasti: chi ci si butta in certi contrasti a piedi nudi? Le dita risultano completamente prive di protezione, sarà stato in origine anche un gioco da gentlemen, però… Fermo restando che possano averlo trovato normale, è vero anche che gli inglesi giocare li hanno sempre visti. E gli inglesi sicuro han sempre giocato con le scarpe, anche sotto le più tremende calure delle estati indiane. 

Mah.. Io mi sbilancio e dico che per me la mancanza di competitività del calcio indiano viene in larga misura da qua. 
Mezzo secolo, forse di più, di sviluppo del giocare senza scarpe per me fu determinante. L’altra parte è dovuta all’anomalo sviluppo dei club e degli organi associativi. 
Bisogna infatti chiedersi quale tipo di mentalità sportiva possa aver partorito un’idea simile e quale tipo di società possa partorire tale mentalità, sapendo benissimo che il resto del mondo usa scarpe . 
In questo modo non si accettano appieno le sfide insite nel gioco e di conseguenza la pratica lungo sei decenni ne risulta inferiormente sviluppata rispetto a quella di chi la pratica correttamente, cioè indossando le scarpe. 
Si può obiettare che la sconfitta del ’48 contro la Francia costituisse un buon risultato, certamente lo fu. Ma non riesco a nascondere lo scetticismo di chi ha giocato seriamente almeno un po, non importa il livello. I francesi che approccio ebbero alla partita quando si ritrovarono di fronte avversari scalzi? Mah.. 
Poi però lo scetticismo sembra sconfessato dalla trasferta olandese intrapresa sull’onda dell’ entusiasmo olimpico. Sconfitti di misura, ancora 2-1, a Rotterdam dallo Sparta, i nazionali indiani stupirono tutti castigando amaramente l’Ajax ,con centravanti Rinus Michels, strapazzato con un sonoro 5-1. 
Il periodo dal ’48 al ’64 è comunque riconosciuto come l’epoca d’oro del calcio indiano. Le scarpe costituiranno di nuovo un problema per il mondiale ’50 ma poi l’India si qualificherà per tre olimpiadi consecutive cogliendo il suo miglior risultato di sempre nel ’56 a Melbourne, un quarto posto di tutto rispetto. 
Dal ’52 accettarono di indossare le scarpe e dopo l’ Olimpiade del ’60 iniziò il declino. 

 Rise & rise 

La prima vittoria della nazionale indiana di cricket in un Test Match contro l’Inghilterra nel 1952, aumentò di parecchio la popolarità di questo gioco, fino a li recluso nella torre d’avorio delle cerchie di altolocati veri e propri. 
I buoni risultati del decennio successivo, culminati con un doppio successo nelle serie su Inghilterra e West Indies rispettivamente nel ’70 e nel ’71, insieme alla comparsa sulla scena del grande Sunil Gavaskar, consacrarono il cricket nuovo sport nazionale relegando il calcio in seconda fila. 
L’ inaspettata vittoria dell’India al mondiale di cricket del 1983 poi, capovolse in un sol colpo gli equilibri di preferenze interni al cricket e tra cricket, calcio e hockey. 
Da li in avanti l’ascesa del One Day Cricket in India divenne inarrestabile, fino a raggiungere gli assurdi livelli di oggi ben espressi dall’ancor più assurdo ed insensato successo del T20 (non solo in India). 

 …and fall 

Dopo i picchi del ’60 e del ’64 invece, la nazionale di calcio non riuscì più a ripetersi. Le sue fortune anzi declinarono abbastanza rapidamente; trend che è continuato, trascinando con se l’intero movimento, per quattro decenni . 
Il calcio rimase uno sport gestito come il cricket, dominato da Calcutta, con qualche favoritismo regionale duro a spegnersi che si ripercuoteva sull’attività dei club, tutto sommato campanilistica. 
In se sportivamente un bene, ma troppo frammentata e discontinua. Non esisteva un campionato nazionale ma solo la Durand Cup, affiancata prima dal IFA Shield e poi dalla Santosh Cup. 
Questi tre tornei rimanevano gli unici in ambito nazionale ma la loro formula, torneo ad eliminazione diretta, nonché struttura: alla Durand Cup partecipavano club militari o dipendenti da altri enti governativi, lo Shield era disputato dai club mentre la Santosh Cup da rappresentative statali, non era in grado di garantire una crescita costante ne tantomeno uniforme, nè considerevole al movimento. Se uscivi al primo o al secondo turno , le partite competitive eran finite. 
I club continuavano con i loro calendari pieni di tornei locali o amichevoli ma è chiaro che in questo modo le possibilità di migliorare non erano molte. Inoltre vi erano tre tipi diversi di club e non di rado i giocatori, anche i migliori potevano giocare per club diversi: troppa frammentazione, troppa dispersione. Bob Houghton, CT inglese dell’ India tra il 2006 e il 2011 definì ad esempio la Santosh Cup un inutile spreco di tempo e talento. Questo in un’ epoca in cui c’era già il campionato, figuriamoci prima. 
Nel 1996 quindi, la Federazione cercò di invertire la tendenza con la creazione della National Football League, il primo campionato indiano della storia. Dopo oltre cento anni di attività sparsa, disordinata, isolata e discontinua, il calcio in India si dotava di un sistema organizzato in categorie nazionali. 
La NFL fu dotata di carattere semiprofessionistico, al posto del dilettantismo di prima, con il chiaro intento di incrementarne il livello. Otto furono le partecipanti alla prima edizione. Un contratto con Sky fruttò alla federazione un milione di sterline l’anno.  L’anno successivo le squadre salirono a dieci e fu creata una Seconda Divisione con sistema di retrocessioni e promozioni automatiche. 
Le cose parvero procedere in maniera positiva e nel 2006 fu aggiunta una terza divisione. Non era proprio così, crescenti difficoltà economiche e il fallimento di un club già dal 2002, portarono gli organizzatori a dichiarare che il campionato navigava finanziariamente in pessime acque. 

Oggi 

La Federazione riprese ancora una volta in mano il pallino, questa vota in maniera più decisa. La NFL fu ristrutturata, rinominata I-League e dotata di nuove risorse grazie al nuovo sponsor Oil & Natural Gas Corporation e ad un contratto di copertura televisiva decennale con la rete Zee Sports. 
L’intenzione, stavolta, rendere il calcio indiano completamente professionistico per davvero. La struttura prevedeva due divisioni da dieci squadre ciascuna, portate a dodici l’ anno dopo. 
Rimaneva comunque un contesto ristretto in quanto le dodici formazioni provenivano da sole tre città, da cui seri interrogativi sul carattere nazionale del campionato. Altre due squadre furono aggiunte nel 2009 provenienti da due nuove città. 
Ciononostante la culla del calcio indiano rimase Calcutta, niente di strano comunque, basti pensare a Buenos Aires, Budapest, Londra o Montevideo. La nazionale non beneficiò molto della trasformazione del campionato, rientrata dopo un’ assenza di 27 anni in Coppa d’Asia nel 2011, fu eliminata al primo turno dopo tre sconfitte. 
Questo non impedì alla squadra di essere accolta con grandi trionfalismi al rientro in patria. Segno che il battage televisivo funziona, e anche che nessuno ancora ci capisce più di tanto, basta entusiasmarsi. Anche in termini di spettatori non è che le cose vadano così bene: la media spettatori in campionato nel 2014 è stata di 5.618 spettatori a partita. 
La squadra più seguita è risultata il Mohun Bagan con una media di 17.068 spettatori a partita, davanti al Shillong Lajong con 11.308, tutte le altre sono sotto le diecimila unità. Numeri da Serie A norvegese, un Paese di poco meno di 5 milioni e mezzo di abitanti. Non sono mancate clamorose eccezioni, a Calcutta il derby di I-League del novembre 2011 fece registrare la bella cifra di 90.000 spettatori. 
I club continuarono ad avere problemi finanziari. I giocatori chiesero, e talvolta ottennero, più soldi, ma gli incassi delle partite rimasero magri, le partite giocate alle tre del pomeriggio non invogliano. 
Con il merchandising e altre entrate da partita inesistenti e i diritti tv che finiscono direttamente in tasca alla federazione che poi ridistribuisce con parsimonia o non ridistribuisce affatto le i ricavi rimasero miseri. 
Qualche giocatore nel giro della nazionale ha fatto provini in Scozia e Inghilterra e poi è finito a giocare in Danimarca. Insomma, non tutto sto successo. 
Nel 2010 però, la AIFF, in anticipo di quattro anni sulla scadenza, decise di terminare il contratto con Zee Sport in virtù di un’offerta superiore di Reliance-IMG, multinazionale con sede a Mumbay, pari a 105 milioni di dollari per i successivi quindici anni. I club si ammutinarono rigettando l’offerta di Reliance o forse quello che la AIFF avrebbe riservato loro. 
Dopo una vertenza legale senza sbocchi, l’offerta fu ritirata. La questione non finì li perché ne Reliance ne la AIFF , che annusava il colpo grosso, gettarono la spugna. 
Così, sull’onda del successo senza precedenti della cricket IPL, nel 2013 Reliance fonda, con il patrocinio federale, la Indian Super League che prese il via nell’ottobre 2014. Anche qui l’obiettivo, dichiarato, è quello di far crescere il calcio (professionistico) in India bla bla bla, ma a guardarci dentro bene si vede che fu un’operazionedi showbiz più che sportiva. 
Fondata e gestita da una controllata di Reliance Industries Ltd che individuò otto città e indisse un’asta per aggiudicarsi la proprietà delle nuove franchising o franchigie. Si può fare più o meno tutto se dietro hai reti televisive, multinazionali e stelle del jet-set indiano, dalle star di Bollywood ai nazionali di cricket, semidei dell’ India di oggi, che manifestano interesse verso un tipo di investimento del genere. Compreso aggirare i regolamenti FIFA che vietano la disputa di più di un campionato nazionale in ogni singolo Stato. FIFA che però, davanti ad una potenziale esplosione del calcio in India, non ha esitato a concedere una speciale dispensa per la formazione e la disputa di questo torneo che però non riconobbe inizialmente come campionato nazionale. 
L’ asta fruttò qualche centinaio di milioni di dollari. Quando gente come Tendulkar, Ganguli, Dhoni e soprattutto Kohli vi partecipano per aggiudicarsi la proprietà delle franchigie, il delirio massmediatico è assicurato. E con esso la partecipazione dei colossi televisivi (a pagamento) indiani. Star, uno dei canali più potenti , una volta terminata l’aggiudicazione delle franchigie comprò il 35% della Indian Super League versando 300 milioni di dollari agli organizzatori e garantendosene i diritti televisivi per dieci anni. 
Dopo questo fondamentale colpo di scena arrivò puntuale l’incredibile voltafaccia di FIFA e federazione asiatica che riconobbero la ISL come campionato ufficiale, parallelo e non organicamente inserito nella struttura della I-League che rimane il campionato ufficiale, in modo di permettere alle prime due classificate di partecipare alla Aian Champions League. Senza vergogna. 
La cosa sembra però funzionare, almeno un po. Dando una rapida scorsa ad alcune cifre, si scopre che il Pune FC, ad esempio, in cinque stagioni ha avuto medie spettatori comprese tra le 16.738 e le 18.724 presenze a partita, con una percentuale di riempimento dello stadio compresa tra il 91% e il 98.54%. Tutti numeri maggiori di quelli dell’Atalanta. Meglio ancora i Kerala Blasters, che nei primi tre campionati han fatto registrare medie superiori ai cinquantamila spettatori a partita. In Italia negli ultimi otto anni c’è riuscita, due volte, solo l’Inter. 
Le presenze allo stadio nel 2018/19 sono state di buon livello. Le squadre sono dieci, non ci sono retrocessioni o promozioni, ma un criterio di allargamento del franchising tipo quello della MSL. Industria dello spettacolo pura e semplice creata per le tv. 
La media spettatori più alta è risultata essere 20.016, la più bassa 4.981, quella del campionato 13.155. La partita di campionato con il record di pubblico è stata ATK- Kerala con 42.102 spettatori ma poi , inspiegabilmente, la finale del campionato ne ha fatti registrare solamente 7.372. 
Ancora l’attenzione del pubblico non si concentra sul calcio in se, ma probabilmente sul contorno. Diciamo comunque numeri da campionato svizzero, tanto per capirsi. 
I biglietti costano l’equivalente di 3/ 4 dollari, sicuramente proporzionati alle tasche del pubblico ma non sufficienti a dare incassi in grado di contribuire alla gestione dei club e sono quindi i diritti televisivi, aggiudicati l’anno scorso ai due giganti Star e Hotstar a tenere in piedi la baracca. 
Tutte le 100 partite del campionato vengono trasmesse in diretta. Il pubblico televisivo potenziale nel 2019 è stato valutato in 168 milioni di telespettatori e questo, insieme alla previsione di raggiungere presto i 250 milioni, conta di più del livello mediocre del campionato. Non male commercialmente, ma non si diventa forti con gli spettatori tv e i milioni fatti in pubblicità, quelli servono per arricchire chi organizza il campionato e i proprietari delle squadre. Si diventa forti giocando e, non si scappa, bisogna partire dal basso, dai bambini. 
La Durand Cup e il Santosh Trophy hanno continuato a svolgersi, Houghton è stato rimpiazzato da Igor Stimac e la nazionale continua a combinare qualcosa solo nella Coppa dell’Asia Meridionale e neanche sempre. Domani 
Ci sono poi due problemi , escludendo il cricket, con il calcio in India. Il primo è che, anche a chi il calcio piace importa ancora troppo poco del calcio indiano. Guardano quasi tutti la Premier League o altri campionati europei e sono tifosi di Manchester United, Real, Barcellona o Liverpool. 
Sembra esserci una totale ignoranza sui protagonisti attuali del calcio indiano giocato, i calciofili indiani conoscono Messi e Ronaldo, ma nessuno sa dire la formazione della nazionale e a malapena conoscono il nome del giocatore più famoso. Un fatto questo che evidenzia la mancanza di campioni e/o idoli locali o meglio ancora la tendenza a snobbare i calciatori del posto preferendogli le superstar mondiali. Forse può non sembrare ma credo che lo spirito di emulazione, molto importante tra i giovani sportivi, possa risultare poco determinante quando gli idoli cui ispirarsi non sono del posto. 
Risulta inoltre mortificante per i calciatori indiani come puntualizza il capitano della nazionale che afferma di preferire gli insulti all’indifferenza, almeno sarebbe segno che a qualcuno di noi importa qualcosa. In un panorama del genere, scalzare il cricket dal piedistallo sul quale si trova mi pare come voler scalare il Mortirolo con un triciclo. 
Il calcio oggi in India non da nessun tipo di visibilità, celebrità o tantomeno ricchezza per chi lo pratica, soldi e prestigio sono associati al cricket. Ed ecco qui ecco il secondo problema che riguarda la società indiana e la mentalità corrente. 
Se giochi nella IPL, o per i Mumbai Indians o meglio ancora in nazionale, benissimo. Se sei un calciatore del Dempo è meglio che lasci stare e finisci di studiare. 
Questo è il pensiero dominante, quello che i genitori impongono ai figli. Genitori che vogliono avere motivo di vanto per i loro figli verso altri genitori, questa è la mentalità imperante. Quindi, a meno che tu non sia un cricketer promettente, i genitori scoraggiano apertamente la pratica sportiva e non accettano altro dai figli che non sia lo studio.
Alcuni incolpano la mancanza di strutture, ma non sembra essere questo il problema quando posti come il Sud America, soprattutto, ma anche l’Africa, producono giocatori e squadre di grande livello partendo da una mancanza di strutture di base. 
Quel che è vero è che i bambini e ragazzini sudamericani e africani giocano a calcio ovunque, così come i bambini indiani giocano a cricket ovunque capiti. Bisogna invogliarli a giocare. 
A Pune, il presidente del Pune FC, un businessman che ha studiato in Inghilterra, fanatico del calcio e tifoso del Liverpool (ma si può?) sta organizzando un settore giovanile partendo dalla realizzazione di un impianto sullo stile dei club europei che ha intenzione di alimentare andando a rastrellare talenti negli slums della città , ce ne sono in abbondanza. E’ convinto di poterci trovare il prossimo Maradona. Al di la degli auguri mi sembra comunque questa la strada da seguire. A Pune il calcio è comunque abbastanza seguito. 
La nazionale continua il suo percorso deludente, inserita nel gruppo D di qualificazione al mondiale 2018 si è piazzata ultima in gruppo che comprendeva anche Iran, Oman, Turkmenistan e Guam; non esattamente delle potenze. In quelle per il prossimo mondiale a fine 2019 è penultima nel gruppo E con 3 punti in cinque partite, staccatissima da Oman (13) e Qatar (12). 
Se avranno il coraggio di destinare una grossa fetta degli introiti della ISL per finanziare il calcio alla base, creare settori giovanili con allenatori provenienti da paesi calcisticamente evoluti, invece di strapagare il CT della nazionale o gli allenatori e giocatori stranieri della squadre della ISL, e la pazienza di aspettare, magari fra una ventina d’anni cominceremo a vedere qualcosa. Ma sembra che la strada imboccata si a un’altra. 
Le squadre della ISL non hanno settori giovanili, non servono per un campionato che dura tre mesi. Non rischiano di far giocare un ragazzo indiano senza esperienza in un torneo ad alta spettacolarità (televisiva). Molto triste. 
Si rischia inoltre di mandare in crisi il campionato vero, la I-League, che non è in grado di pagare i giocatori allo stesso livello della ISL. Parecchi sono i giocatori che già hanno cambiato campionato. La struttura a franchigia tipo NBA non prevede, almeno nell’immediato futuro, una struttura piramidale che rimane per me requisito fondamentale per l’allargamento della base, del consenso verso il calcio e il conseguente aumento di competitività del movimento. 
Struttura che la I-League ha, in quanto campionato ufficiale, e che andrebbe sostenuto e potenziato e che invece stà soccombendo, schiacciato dal peso dei milioni di dollari dell’altro campionato. 
Non stanno cercando di far crescere un movimento sportivo che eventualmente potrà avere consenso e un certo successo di pubblico, ma stanno cercando di formare squadre per uno spettacolo televisivo che ha già trovato un pubblico. Sconsolante. 
Sconfitta dello sport e trionfo dello showbusinness.


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